Il trabocchetto della escape room

Sapete cos’è una escape room? Un tempo era solo un particolare tipo di videogioco: un personaggio (di solito un investigatore) si trova in una particolare situazione da cui deve trarsi d’impaccio attraverso la ricerca di indizi ed oggetti utili al suo scopo.

Oggi, nell’anno del Signore 2016, anche in Italia è realtà: con un piccolo gruppo di amici si può provare l’ebbrezza di trovarsi chiusi in locali senza finestre avendo soltanto 60 minuti di tempo per uscirne (i locali sono pieni di enigmi che consentono, una volta risolti in sequenza, di guadagnare terreno verso l’uscita). Qualche settimana fa, mentre rientravo a casa da Milano con uno degli ultimi -ma non per questo meno affollati- treni del pomeriggio, ho potuto apprendere nel dettaglio molti degli indovinelli e delle peculiarità della “escape room” di recente apertura nel capoluogo meneghino. Come? Sorbendomi circa 20 minuti di racconti incrociati tra un lui che aveva scelto una particolare ambientazione e una lei che ne aveva scelta un’altra. Una esaltazione così non la vedevo dai mondiali del 2006.
Le descrizioni degli ambienti erano fatte con dovizia di particolari da parte di entrambi: probabilmente avrebbero saputo ricostruire una copia perfetta della stanza a casa loro. Improvvisamente un cambio di argomento: la ragazza pare si debba sposare e riferisce al ragazzo, con poco celato fastidio, che una volta a casa dovrà recarsi dal parroco per un incontro. Subito giunge quel che sarà l’unico, strascicato commento del ragazzo: “Ah sì? Be’, vi parlerà della famiglia, di quanto sia importante educare i figli e bla bla bla”. Bla bla bla. Questo bla bla bla è entrato nelle mie orecchie e si è insinuato negli spazi del pensiero.
Il contrasto tra il primo e il secondo discorso mi ha aiutato a ricordare che un po’ tutti rischiamo di perdere il senso della misura, attribuendo troppa importanza ad una questione e troppo poca ad un’altra. È un rischio che corriamo anche nelle attività scout. A volte ci perdiamo, corriamo dietro ai nostri programmi, discutiamo, modifichiamo, approviamo, facciamo uscite comode e ci dimentichiamo che, fondamentalmente, lo Scoutismo è “vita rude all’aria aperta” (come ci ricordava padre Brasca l’anno scorso, citando don Ghetti). La branca E/G in particolare non può sottrarsi a questo destino. L’intero anno scout guarda al campo estivo: il campo, ricorda B.-P., è la parte gioiosa della vita di uno scout. Del campo estivo non si può parlare in termini di bla bla bla. Il campo è la fatica della costruzione, la lotta contro il vento e la pioggia, la certezza che la cura e la precisione riservati al montaggio della tenda saranno ripagati dalla sensazione di sentirsi al sicuro, nella propria casa di tela, il giorno della burrasca; il campo è la gioia di un canto intorno al fuoco di bivacco; il campo è il torrente che scorre a pochi passi dal tuo giaciglio, il sole che sorge da dietro un monte quando tutti stanno ancora dormendo ma tu sei lì che lo guardi perché ti mancava.
Il campo è la preghiera della sera, che ti fa riposare in Dio.

 

Carlo Maria