Il governo del Branco

Negli ultimi giorni prima del Referendum Costituzionale che ha monopolizzato le cronache italiane e contagiato perfino quelle estere, mi sono trovato a ricordare un’attività che feci da lupetto.
Una domenica pomeriggio il nostro branco giocò “al governo”. Non mi ricordo tutto nei particolari ma funzionava più o meno così: ognuno poteva formare, insieme a tre o quattro persone anche di altre sestiglie, un “partito” e candidarsi alle elezioni. Il branco votava i candidati e questi governavano sostanzialmente decidendo chi doveva pagare le tasse e in che misura.
Le tasse si pagavano con soldi conquistati in vari giochi o sfide che scandivano il tempo della “vita politica”.
Ebbene alle prime elezioni della giornata vinsi e formai il primo governo con i due o tre candidati nella “lista” che avevamo formato. Ero diventato presidente del Branco Antares, o quantomeno ministro…
Giocammo, ognuno conquistò la propria paga “con il sudore della fronte” e quindi ci riunimmo per deliberare la “legge finanziaria”. Sarà che eravamo inesperti e ingenui, ma non avevamo molte idee su come si fanno queste cose, quindi andammo un po’ a sensazione: “Quelli che non hanno le calze blu pagano un soldo”. O qualcosa del genere.
Tra chi si lamentava e chi si sfregava le mani si riscosse il dovuto e si giocò un’altra manche. Dopodiché di nuovo decidemmo chi doveva pagare.
Ora non ricordo bene chi scegliemmo ma fatto sta che, alla fine, c’erano un po’ di fratellini e sorelline che avevano pagato due volte e alcuni che non avevano tirato fuori neanche un (falso) dollaro.
Non ci volle molto prima che i mormorii di disappunto si trasformassero in bisbigli negli orecchi e infine in azione. Tre lupi entrarono in mezzo al cerchio chiedendo “elezioni anticipate” per “mandare a casa” il nostro governo ingiusto. La democrazia fece il suo corso e fummo “sfiduciati”.
Molte cose si dimenticano, ma ricordo ancora bene le sensazioni che provai riprendendo il mio posto nel cerchio mentre l’ala dei vincitori festeggiava.
Innanzitutto pensavo “Uffi, ero tra quelli che decidevano e adesso dovrò fare quello che decidono gli altri”, ma più che la rabbia c’era il dispiacere del “se avessimo avuto un’altra occasione avremmo potuto fare una legge migliore. Insomma non c’era bisogno di andare alle elezioni, si poteva discuterne…”. In fondo ricordo anche un po’ il dispiacere di non essere stato all’altezza, di aver deluso.
Al turno dopo mi sembra che abbiano pagato tutti, il che è interessante.
Non ricordo poi come sia andato a finire il gioco, ma ripensandoci da capo quale sono ora riconosco che era veramente geniale, roba da esperimenti sociali ad alto livello!
Se ci pensate, infatti, si giocava di branco senza distinzioni di sestiglia, ma se era la sestiglia che alla fine aveva più soldi a vincere allora le poche regole fissate bastavano a generare un gioco davvero complesso: ogni sestiglia avrebbe dovuto, volente o nolente, collaborare con le altre alla formazione dei governi (per non essere svantaggiata e governare) con sufficiente equità da non essere “deposta”.

Penso che non sia un caso che un’attività del genere sia rimasta archiviata in un cassetto della mia mente e non cestinata come chissà quante altre che magari da bambino mi erano apparse anche più divertenti. È stato un ottimo esempio di “imparare facendo” che consiglio di provare a ripetere.

Enrico Gussoni