Lo scoutismo, in fondo in fondo, è una ribellione

La vita cresce e nella vita cresciamo. Anche lo scoutismo cresce insieme a noi e grazie a noi da quando Baden Powell lo ha inventato.
Mi piace il fatto che questa sia la giornata del “pensiero” e non, semplicemente, del “ricordo di BP” perché non ci si ferma solo a contemplare quello che lo scoutismo è stato, ma si pensa a quello che lo scoutismo è e può essere.
Lo scoutismo è cresciuto e, come tutte le persone o le cose che crescono, è ancora lui. Ha lo stesso sangue, la sessa anima, ma si è trasformato insieme al mondo di cui fa parte.

Possiamo guardare alla storia (e alle “storie”) dello scoutismo: le staffette dell’assedio di Mafeking, i giovani esploratori con i moschetti durante la Grande Guerra, i ribelli che espatriavano i ricercati durante la “Giungla Silente”, i rover e le scolte a seppellire i morti a Longarone o a spalare il fango nel Polesine… Sono questioni che non si celebrano e basta, ma che servono a farci pensare (think, appunto) e a farci chiedere “Se nel 1916 a tutti pareva sensato mettere un fucile in mano ad un esploratore e se nel 1963 pareva sensato utilizzare giovani appena maggiorenni per operare in caso di calamità senza alcuna formazione specifica o corso di sicurezza… che cosa ha senso oggi?”

Riguardando a quello che facciamo oggi tra vari anni si penserà “Quelli erano dei matti” o “Quelli erano davvero in gamba”? Forse tutte e due le cose…
Dopotutto lo scoutismo è un’idea folle, e buona deve essere la dose di follia di chi vuole portarlo avanti. Pur con le sue leggi, regole, metodi, gerarchie e concetti lo scoutismo ha nel profondo qualcosa di altamente anticonformista. Probabilmente ora più di prima.
Se l’adolescenza è l’età della ribellione, allora lo scoutismo è, per la sua costante ricerca di libertà, l’adolescenza delle istituzioni educative.

Che senso ha, la domenica, lasciare una casa calda e comoda per addentrarsi in un bosco sotto la pioggia, trovare una radura tra i rovi e, sotto un rifugio improvvisato, consumare un panino?
Che senso ha rimettersi in cammino nel fango mentre la pioggia diventa nevischio e cantare alla ricerca di un posto buono per un nuovo gioco?
Non è forse il non voler essere “schiavi” dei capricci del meteo? Non è l’essere slegati, anche solo per poche ore, da quelle comodità che ci sembrano indispensabili?
Crescendo in questa ribellione di pace impariamo ad andare contro a tutto… per andare incontro a tutti. Ci liberiamo da quello che non ci serve per meglio servire.

Così prendersi per mano in centro alla città, circondati dagli occhi della gente, pronunciare un impegno, una promessa, parlare di onore e, umilmente, chiedere l’aiuto di Dio è un sereno gesto di rivolta. Di crescita…

-Enrico Gussoni