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Intervista a Vittorio Agnoletto: dall’ASCI al Social Forum

VittorioAgnolettoQualche giorno fa, dopo aver visto un film sui fatti di Genova del 2001, ho fatto qualche ricerca e scoperto che il portavoce del Genova Social Forum (l’organizzazione a capo delle proteste contro il G8) è stato scout per vent’anni in Agesci. Si tratta di Vittorio Agnoletto, milanese classe 1958, di professione medico che ha svolto con particolare attenzione alla lotta all’AIDS. Lotta di cui si è fatto promotore a livello mondiale.

Ma procediamo per gradi: la biografia di Vittorio può sembrare a prima vista controversa e già il primo paragrafo è particolare: “sono cresciuto frequentando l’associazionismo cattolico – ho trascorso vent’anni nell’Agesci – e i movimenti studenteschi della Nuova Sinistra, dal 1983 al1989 sono stato membro della segreteria nazionale di Democrazia Proletaria…”
Tante domande mi turbinavano in mente e volevo capirci di più, così ho fatto una cosa semplicissima: gli ho scritto e sono riuscito a sentirlo al telefono. Ecco cosa mi ha raccontato:

Sono stato in Agesci vent’anni, da lupetto a capo in reparto e in noviziato. Ho avuto ruoli nella formazione e regionali ma ho dovuto smettere per svolgere il servizio civile come obiettore di coscienza, che allora era di 20 mesi, lontano da Milano. Questa esperienza di vita mi ha lasciato tre insegnamenti che mi hanno guidato per tutti gli anni successivi: innanzitutto che quando si cammina il passo la fa il più lento e nessuno deve essere lasciato indietro, poi c’è il pollice sul mignolo del saluto scout ad indicare che il più grande protegge il più piccolo, infine il punto della legge “sorridono e cantano anche nelle difficoltà”. Questo è il fondamento etico del mio agire.
Concretamente, nella mia vita, questo ha iniziato a realizzarsi mentre facevo servizio extrassociativo al mio primo anno di clan. Avevamo fatto un’inchiesta con un comitato di quartiere sulle condizioni di vita nelle case popolari, le “case minime” del Giambellino, e da lì nacque una discussione in clan e in Co. Ca. Ero in un gruppo, il Milano IV di don Angelo Cremascoli, solido e con una forte tradizione (c’erano anche figli di aquile randagie!) ma legato alla borghesia di periferia. Decidemmo che non volevamo più essere un gruppo solo per l’elite e così nel 1977, per legarci meglio al territorio del Giambellino, sdoppiammo il gruppo con don Renato Rebuzzini. Era un anno di movimenti studenteschi e subbuglio politico. Ci trovammo un gruppo con molte famiglie socialmente diverse, mentre prima si entrava negli scout “per conoscenza”. Imparammo a partire dalla condizione del più debole, ad esempio rispettando gli orari di chi a 14 anni già lavorava.
Quando ci fu l’unione dell’ASCI (maschile) con l’AGI (femminile) sperimentammo anche l’ambientazione della “Carovana” al posto della “Giungla” per meglio integrare maschi e femmine. Infatti si riteneva che nel Libro della Giungla ci fossero troppe poche figure femminili.

Dall’altro lato nel 1973, a 16 anni, entrai nei movimenti studenteschi della “Nuova Sinistra” nata dopo la repressione violenta della rivolta di Praga. Ispirati da persone come padre Turoldo parte del mondo di sinistra e del mondo cattolico iniziavano a portare avanti un’azione collettiva. Studiavo tantissimo (mi laureai con 60 e lode che era il massimo) perché per me coincideva con il fare politica. Lavoravamo con i professori per creare gruppi di studio e aiutare gli studenti lavoratori. Era una questione di eguaglianza e giustizia. Divenni responsabile dei giovani di Democrazia Proletaria e a quel punto decisi di rimanere solo un capo scout come tanti altri senza incarichi particolari. Volli distinguere l’ambito formativo da quello politico ma credo che comuqnue questa capacità di scelta mi sia arrivata dallo scoutismo.

Nel 1987, appena laureato, entrai a far parte della LILA (Lega Italiana per la Lotta all’Aids). All’epoca i sieropositivi erano altamente discriminati, anche dalla Chiesa. Per quattordici anni ho vissuto solo per questo: avevamo circa 1500 iscritti di cui la metà sieropositivi e c’èra un morto a settimana. Ci occupavamo di ricerca, di auto-aiuto, di trovare case e alloggi per i malati, lottavamo contro i licenziamenti e formavamo le maestre. Infatti, spesso capitava che i figli dei malati di Aids non potevano nemmeno entrare a scuola. Don Ciotti, che conoscevo già da prima, accettò di diventare presidente della LILA e iniziò così la sensibilizzazione del mondo cattolico a riguardo. Poi, un giorno, il Cardinal Martini fece la lavanda dei piedi a dei malati di Aids. Ci unimmo anche alla lotta contro le ditte farmaceutiche per il costo dei farmaci sproporzionato, soprattutto per il “Sud del Mondo”. Queste lotte hanno portato alla Carta dei diritti delle persone sieropositive e a regole più stringenti per avere farmaci più economici, impedendo ad esempio che i commissari delle agenzie sanitarie potessero avere rapporti di affari o consulenza con le ditte farmaceutiche.
Verso la fine degli anni ’90 Nelson Mandela in Sud Africa governava un paese in cui il 40% della popolazione era sieropositiva. Per cinque anni portò avanti una lotta durissima con le case farmaceutiche (che accusavano il Sud Africa di plagio sui medicinali). Nell’aprile 2002 le accuse vennero ritirate, ma nel frattempo erano morte 800.000 persone. Anche l’Agesci pianse dei morti causati dall’HIV.

Il Genova Social Forum nasceva da questo, dalla discussione con la World Trade Organization (WTO) sui brevetti dei farmaci. Era un movimento non ideologico con cui volevamo dire alla gente che un altro mondo era possibile. Allora l’80% della ricchezza era posseduta dal 20% della popolazione mondiale, oggi l’85% è in mano all’8,7%.
Questo mio essere parte di due mondi fece sì che fui l’unico su cui tutte le associazioni erano d’accordo per la nomina di portavoce (oltre a me non si riuscì a trovare neppure un vice). Dopo i fatti di Genova il dibattito mi ha distrutto: ho perso tutti i lavori che avevo. Ho ricominciato con i frati della Caritas nazionale.

A Genova c’erano anche delle Co. Ca. e dei clan, anche se l’Agesci non prese una posizione ufficiale. Ovviamente con 1300 associazioni presenti gli scout non erano fuori dalla realtà. Certo, negli anni ’80 c’era più politica in associazione e più discussione sui temi sociali. Oggi, benché abbia ancora amici e nipoti nello scoutismo, ho una visione superficiale ma mi sembra che Agesci sia molto poco coinvolta. L’unico episodio che mi viene da ricordare è di quando ci fu una raccolta firme contro la presenza di Agesci ad Expo e sull’autofinanziamento con le prevendite. Il rover che aveva avviato la petizione fu criticato molto duramente. Ecco, questa cosa non mi ha fatto molto piacere.

EG