Hanno lasciato una traccia – Don Giovanni Minzoni

28Nato in una famiglia medio-borghese, studiò in seminario e nel 1909 fu ordinato prete. L’anno seguente fu nominato cappellano ad Argenta, da cui partì nel 1912 per studiare alla Scuola sociale di Bergamo, dove si diplomò. Ammirato per il suo coraggio e per la sua volontà di collaborazione e di dialogo con il proletariato contadino, allo scoppio della Prima guerra mondiale fu inviato al fronte come cappellano militare. Anni dopo Minzoni rifiutò energicamente l’istituzione dell’Opera nazionale balilla ad Argenta, preferendo educare in prima persona i giovani della città: grazie all’incontro con don Emilio Faggioli, già fondatore nell’aprile del 1917 del gruppo scout Bologna I, e poi assistente regionale dell’Emilia-Romagna, don Minzoni si convinse della validità dello scautismo, per cui decise di fondare un gruppo scout nella propria parrocchia. L’8 luglio 1923, don Emilio Faggioli fu invitato nel teatro parrocchiale di Argenta a tenere una conferenza sulla validità educativa dello scautismo. “Attraverso questo tirocinio e disciplina della volontà e del corpo”, affermò don Faggioli, “noi intendiamo formare degli uomini di carattere”. Dalla galleria lo interruppe allora il segretario del fascio di Argenta “C’è già Mussolini…!”. Monsignor Faggioli riprese il suo intervento spiegando all’uditorio che lo scautismo agisce sopra e al di fuori delle fazioni politiche. “Vedrete da oggi lungo le vostre strade i giovani esploratori col largo cappello e il giglio sopra il cuore. Guardate con simpatia questi ragazzi che percorreranno cantando la larga piazza d’Argenta.” “In piazza non verranno!” esclamò ancora il segretario del fascio. Gli rispose allora don Minzoni stesso: “Finché c’è don Giovanni, verranno anche in piazza!”. L’applauso dei giovani troncò il dialogo. Più di settanta iscritti al gruppo degli esploratori cattolici di Argenta erano una realtà, e le minacce non erano servite al loro scopo. Poco prima della morte, avvenuta per mano di due sicari nel 1923, scriveva: «a cuore aperto, con la preghiera che mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo. » Si era realizzata la preghiera fatta a Dio prima di partire per la guerra: «Prego Iddio che mi faccia morire compiendo sino all’ultimo momento il mio dovere di sacerdote e italiano, felice di chiudere il mio breve periodo di vita in un sacrificio supremo.» Su di lui Giovanni Paolo II: Don Minzoni morì “vittima scelta” di una violenza cieca e brutale, ma il senso radicale di quella immolazione supera di gran lunga la semplice volontà di opposizione ad un regime oppressivo, e si colloca sul piano della fede cristiana. Fu il suo fascino spirituale, esercitato sulla popolazione, sulle forze del lavoro ed in particolare sui giovani, a provocare l’aggressione, si volle stroncare soprattutto la sua azione educativa diretta a formare la gioventù per prepararla nel contempo ad una solida vita cristiana e ad un conseguente impiego per la trasformazione della società. Per questo gli Esploratori Cattolici sono a lui debitori.