BLOG DE PAPEL-Episodio II: La rete e le strade

Gli antichi romani l’avevano capito bene: una società per funzionare ha bisogno di essere connessa e scambiare informazioni in modo facile e veloce. Per questo l’Impero Romano era tessuto di strade fatte ad arte (tanto che molte rimangono tutt’oggi visibili), ponti e gallerie. Su queste strade correvano (anzi, galoppavano) le notizie, gli ordini, le merci… e gli eserciti.
Anche il nostro corpo funziona così: al nostro interno si intrecciano nervi e vasi sanguigni che raggiungono ogni nostra estremità e profondità. Così è pure la rete del Web, di Internet, dei social e delle app: reti invisibili ci collegano in (quasi) ogni parte del globo e le informazioni che viaggiano sui fili immateriali di questa rete sono quasi istantanee. Ormai è così facile e veloce scambiare notizie, ordini, merci e quant’altro tramite la rete che siamo sempre più convinti di aver creato un nuovo mondo molto più facile da abitare rispetto a quello “vero”, in cui bisogna alzarsi, prendere, fare, sbrigare…
Eppure, le vie della rete non fanno cose molto diverse da quelle degli imperatori romani: ci collegano, ci connettono, ci mettono agli estremi opposti di qualcosa; ma non possono avvicinarci. Certo, tutto quello che fanno lo fanno meglio delle strade: ci connettono più facilmente, in meno tempo, in modo più intenso e diretto. Chi direbbe che è meglio affidare un pezzo di carta ad un tizio a cavallo per farlo recapitare a giorni e giorni di distanza, piuttosto che mandare un vocale su WhatsApp? La risposta è scontata ma, nonostante questo, ancora non possiamo usare i social per accorciare le distanze.

Vi ho già raccontato di come, da quando ero alle elementari al mio arrivo alle medie, in casa mia si è passati dal telefono con la cornetta (di cui allego una foto, nel caso qualcuno dei nostri fratellini e sorelline non ne abbia mai visto uno), al “fisso senza fili” (il cordless), al primo cellulare di mio padre (con gli SMS, i “messaggini”) e poi di colpo Internet in casa con Windows Explorer e una mail che dava accesso ad un servizio di chat. Di colpo (e intendo proprio di colpo, tipo e-Dio-disse-luce-e-luce-fu) potevo fare i compiti con i compagni di classe e partecipare al funerale del criceto di un mio squadrigliere (ciao Pier, sono sicuro che Wolverine ti vuole ancora bene, ovunque sia). Tutto questo, che oggi ci pare automatico e scontato, ci ha dato il potere di essere “con”, ma non ancora quello di essere “lì”. Corriamo il rischio di fare confusione perché il coinvolgimento e le emozioni che proviamo quando siamo connessi con persone care o sconosciute, sia in momenti di gioia che di sofferenza, può essere grande. Non dobbiamo mai dimenticare, però, che essere coinvolti spesso non basta: bisogna essere partecipi!
Quando esprimiamo solidarietà sui social a qualche persona che sappiamo essere in difficoltà o quando condividiamo notizie “indignate” stiamo agendo sulla base dell’informazione… ma è l’azione che manca!

Allora ecco che, pur col passare dei millenni, abbiamo un unico modo per avvicinarci agli altri e partecipare alla loro vita, alla loro gioia o dolore, alla loro sfida: dobbiamo metterci le scarpe e imparare la strada e andare verso il “prossimo” per renderlo davvero tale.

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