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Intervista a Carla Gussoni, Presidente della Cena dell’Amicizia

Essendo il tema di questo Thinking Day quello della leadership e, tenendo conto che l’iniziativa è proposta dall’organizzazione mondiale delle guide (il WAGGGS), in particolare sulla leadership femminile, abbiamo voluto proporvi un’intervista a Carla Gussoni, scout e presidente della Cena dell’Amicizia, associazione che ha ricevuto quest’anno l’Ambrogino d’Oro (la benemerenza civica del Comune di Milano) per i 50 anni di servizio verso le persone in difficoltà.

Qual è stata la tua esperienza scout e cosa pensi ti abbia lasciato per il resto della tua vita?
Sono entrata in un reparto (AGI) di guide quando avevo 12 anni, direttamente al campo estivo: un’esperienza che avevo desiderato tantissimo e che mi ha affascinata e coinvolta; dormire in tenda, costruire tavolo e panche con i nodi, l’alzabandiera, il fuoco di bivacco con le scenette e i canti, ho bellissimi ricordi di tutti gli anni di Reparto e di Fuoco, così si chiamava il clan delle scolte. Poi, a 18 anni, al ritorno da un anno di liceo in America, mi è stato chiesto di fare la capo Reparto. A ripensarci fu una cosa da pazzi, non riesco ancora a credere che i genitori di 32 ragazzine mi abbiano affidato le loro figlie quando non ero nemmeno maggiorenne [all’epoca lo si diventava a 21 anni, ndr]. Ero inesperta, anche un po’ spericolata e per me era l’anno dell’esame di maturità. Però fu un’esperienza fantastica anche per le mie guide: non so come sia stato possibile ma a decenni di distanza qualcuna di loro mi ha detto che sono stata importante per la loro formazione! Lo scoutismo lo è stato sicuramente per me, mi ha inculcato un fortissimo senso del dovere e mi ha formato all’autonomia nel prendere decisioni, alla responsabilità e allo spirito di servizio.

Come è iniziata la tua avventura con la Cena dell’Amicizia?
È iniziata proprio dallo scoutismo, nella parrocchia dove aveva sede il mio gruppo c’era questa attività organizzata dai ragazzi dell’oratorio, una cena settimanale dove ci si sedeva a tavola con tanti emarginati, poveri, senza tetto. Il mio clan (nel frattempo era nata l’Agesci) attivava il servizio extra-associativo alla Cena dell’Amicizia e per seguire i novizi anch’io, che a quel punto ero in direzione di Clan, iniziai a partecipare alla Cena dell’Amicizia e ai suoi momenti di auto-finanziamento: la mitica Operazione Formiche, la raccolta carta, che allora rendeva e richiedeva un’intera giornata ogni tre mesi con tutte le forze disponibili. L’anno dopo scelsi la Cena dell’Amicizia e lasciai definitivamente il servizio associativo.

Di cosa si occupa oggi la Cena e qual è il tuo ruolo?
Oggi la Cena dell’Amicizia continua come 50 anni fa (è nata nel 1968) a mettere a tavola una volta alla settimana una cinquantina di Ospiti, insieme a una trentina di volontari; ma da trent’anni ha anche aperto un centro di accoglienza residenziale che ospita stabilmente 12 uomini per accompagnarli in un percorso di uscita dalla grave emarginazione, un centro diurno con laboratori e orto, una rete di 22 appartamenti per persone o nuclei monoparentali in quasi completa autonomia: per seguire tutto questo abbiamo anche 6 dipendenti, uno psicologo, un gruppo raccolta fondi, ma sempre anche tantissimo lavoro volontario, fatto di relazioni con gli Ospiti, di presenza per garantire la copertura dei turni serali e festivi, e di tanti altri servizi indispensabili, dal fare la spesa allo scrivere progetti.

Il mio ruolo attuale, come Presidente di un’associazione di volontariato, è fatto di moltissime differenti attività, dall’interfacciarmi con il Comune di Milano al quale garantiamo un servizio avendo partecipato a regolari gare d’appalto, al parlare al pubblico che viene a uno spettacolo organizzato per raccoglier fondi per la Cena, dallo scaricare 182 scatoloni di confezioni di cioccolato da vendere davanti alle parrocchie, al cercare un idraulico perché non c’è l’acqua calda in un appartamento condiviso, dallo scrivere un progetto da 60 mila euro insieme ad altri 4 enti come noi per partecipare a un Bando della Regione creando un nuovo servizio, al preparare la relazione al bilancio per l’assemblea annuale. Io che ho fatto tutta la vita la pediatra e non ho mai avuto un lavoro da dipendente mi ritrovo da pensionata ad essere di fatto un datore di lavoro, per cui ho dovuto affrontare la cassa integrazione per i dipendenti in un momento difficile, garantire la sicurezza sul lavoro e il rispetto di tutte le leggi in materia. Ho dovuto studiare, e non ho ancora smesso!

Quali sono i problemi nel portare avanti un’associazione di questo tipo e dimensione?
Nel descrivere il mio ruolo ne ho già dato una vaga idea. Il problema principale forse è quello di far quadrare i conti: ospitare 365 giorni all’anno circa 40 persone, tra comunità e appartamenti, costa e i bisogni aumentano sempre; purtroppo continuiamo ad essere necessari. Un altro problema è quello del rinnovo delle forze del volontariato e l’offerta di un’adeguata formazione a chi si avvicina a un servizio che è fatto di relazioni con persone multiproblematiche.

C’è qualcuno in particolare che ti senti di voler ringraziare per questi 45 anni di volontariato?
Non è una domanda facile e la risposta non mi è venuta immediata, forse non ho mai pensato di dover ringraziare qualcuno per questo, ma è vero, chissà quante persone dovrei ringraziare! Mi vengono in mente Don Franco, l’amico prete che era il nostro Assistente scout e che ha fatto nascere la Cena dell’Amicizia, e la mia giovane amica Alessia, che ha condiviso con me i primi anni di questa nuova avventura da presidente, le fatiche e il superamento di tante difficoltà e che purtroppo non c’è più e mi manca. Anche Alberto, un amico, forse di più, un fratello, uno dei primi Ospiti del centro di accoglienza, che ancora a distanza di 25 anni mi regala dei libri bellissimi.

Qual è il tuo nome totem?
Lucciola nascosta. È un po’ un ossimoro, da noi l’animale era quello che ti rappresentava e l’aggettivo era quello che dovevi raggiungere, forse ero un po’ “show off”…
la redazione