Archivio mensile:giugno 2018

Intervista a Vittorio Agnoletto: dall’ASCI al Social Forum

VittorioAgnolettoQualche giorno fa, dopo aver visto un film sui fatti di Genova del 2001, ho fatto qualche ricerca e scoperto che il portavoce del Genova Social Forum (l’organizzazione a capo delle proteste contro il G8) è stato scout per vent’anni in Agesci. Si tratta di Vittorio Agnoletto, milanese classe 1958, di professione medico che ha svolto con particolare attenzione alla lotta all’AIDS. Lotta di cui si è fatto promotore a livello mondiale.

Ma procediamo per gradi: la biografia di Vittorio può sembrare a prima vista controversa e già il primo paragrafo è particolare: “sono cresciuto frequentando l’associazionismo cattolico – ho trascorso vent’anni nell’Agesci – e i movimenti studenteschi della Nuova Sinistra, dal 1983 al1989 sono stato membro della segreteria nazionale di Democrazia Proletaria…”
Tante domande mi turbinavano in mente e volevo capirci di più, così ho fatto una cosa semplicissima: gli ho scritto e sono riuscito a sentirlo al telefono. Ecco cosa mi ha raccontato:

Sono stato in Agesci vent’anni, da lupetto a capo in reparto e in noviziato. Ho avuto ruoli nella formazione e regionali ma ho dovuto smettere per svolgere il servizio civile come obiettore di coscienza, che allora era di 20 mesi, lontano da Milano. Questa esperienza di vita mi ha lasciato tre insegnamenti che mi hanno guidato per tutti gli anni successivi: innanzitutto che quando si cammina il passo la fa il più lento e nessuno deve essere lasciato indietro, poi c’è il pollice sul mignolo del saluto scout ad indicare che il più grande protegge il più piccolo, infine il punto della legge “sorridono e cantano anche nelle difficoltà”. Questo è il fondamento etico del mio agire.
Concretamente, nella mia vita, questo ha iniziato a realizzarsi mentre facevo servizio extrassociativo al mio primo anno di clan. Avevamo fatto un’inchiesta con un comitato di quartiere sulle condizioni di vita nelle case popolari, le “case minime” del Giambellino, e da lì nacque una discussione in clan e in Co. Ca. Ero in un gruppo, il Milano IV di don Angelo Cremascoli, solido e con una forte tradizione (c’erano anche figli di aquile randagie!) ma legato alla borghesia di periferia. Decidemmo che non volevamo più essere un gruppo solo per l’elite e così nel 1977, per legarci meglio al territorio del Giambellino, sdoppiammo il gruppo con don Renato Rebuzzini. Era un anno di movimenti studenteschi e subbuglio politico. Ci trovammo un gruppo con molte famiglie socialmente diverse, mentre prima si entrava negli scout “per conoscenza”. Imparammo a partire dalla condizione del più debole, ad esempio rispettando gli orari di chi a 14 anni già lavorava.
Quando ci fu l’unione dell’ASCI (maschile) con l’AGI (femminile) sperimentammo anche l’ambientazione della “Carovana” al posto della “Giungla” per meglio integrare maschi e femmine. Infatti si riteneva che nel Libro della Giungla ci fossero troppe poche figure femminili.

Dall’altro lato nel 1973, a 16 anni, entrai nei movimenti studenteschi della “Nuova Sinistra” nata dopo la repressione violenta della rivolta di Praga. Ispirati da persone come padre Turoldo parte del mondo di sinistra e del mondo cattolico iniziavano a portare avanti un’azione collettiva. Studiavo tantissimo (mi laureai con 60 e lode che era il massimo) perché per me coincideva con il fare politica. Lavoravamo con i professori per creare gruppi di studio e aiutare gli studenti lavoratori. Era una questione di eguaglianza e giustizia. Divenni responsabile dei giovani di Democrazia Proletaria e a quel punto decisi di rimanere solo un capo scout come tanti altri senza incarichi particolari. Volli distinguere l’ambito formativo da quello politico ma credo che comuqnue questa capacità di scelta mi sia arrivata dallo scoutismo.

Nel 1987, appena laureato, entrai a far parte della LILA (Lega Italiana per la Lotta all’Aids). All’epoca i sieropositivi erano altamente discriminati, anche dalla Chiesa. Per quattordici anni ho vissuto solo per questo: avevamo circa 1500 iscritti di cui la metà sieropositivi e c’èra un morto a settimana. Ci occupavamo di ricerca, di auto-aiuto, di trovare case e alloggi per i malati, lottavamo contro i licenziamenti e formavamo le maestre. Infatti, spesso capitava che i figli dei malati di Aids non potevano nemmeno entrare a scuola. Don Ciotti, che conoscevo già da prima, accettò di diventare presidente della LILA e iniziò così la sensibilizzazione del mondo cattolico a riguardo. Poi, un giorno, il Cardinal Martini fece la lavanda dei piedi a dei malati di Aids. Ci unimmo anche alla lotta contro le ditte farmaceutiche per il costo dei farmaci sproporzionato, soprattutto per il “Sud del Mondo”. Queste lotte hanno portato alla Carta dei diritti delle persone sieropositive e a regole più stringenti per avere farmaci più economici, impedendo ad esempio che i commissari delle agenzie sanitarie potessero avere rapporti di affari o consulenza con le ditte farmaceutiche.
Verso la fine degli anni ’90 Nelson Mandela in Sud Africa governava un paese in cui il 40% della popolazione era sieropositiva. Per cinque anni portò avanti una lotta durissima con le case farmaceutiche (che accusavano il Sud Africa di plagio sui medicinali). Nell’aprile 2002 le accuse vennero ritirate, ma nel frattempo erano morte 800.000 persone. Anche l’Agesci pianse dei morti causati dall’HIV.

Il Genova Social Forum nasceva da questo, dalla discussione con la World Trade Organization (WTO) sui brevetti dei farmaci. Era un movimento non ideologico con cui volevamo dire alla gente che un altro mondo era possibile. Allora l’80% della ricchezza era posseduta dal 20% della popolazione mondiale, oggi l’85% è in mano all’8,7%.
Questo mio essere parte di due mondi fece sì che fui l’unico su cui tutte le associazioni erano d’accordo per la nomina di portavoce (oltre a me non si riuscì a trovare neppure un vice). Dopo i fatti di Genova il dibattito mi ha distrutto: ho perso tutti i lavori che avevo. Ho ricominciato con i frati della Caritas nazionale.

A Genova c’erano anche delle Co. Ca. e dei clan, anche se l’Agesci non prese una posizione ufficiale. Ovviamente con 1300 associazioni presenti gli scout non erano fuori dalla realtà. Certo, negli anni ’80 c’era più politica in associazione e più discussione sui temi sociali. Oggi, benché abbia ancora amici e nipoti nello scoutismo, ho una visione superficiale ma mi sembra che Agesci sia molto poco coinvolta. L’unico episodio che mi viene da ricordare è di quando ci fu una raccolta firme contro la presenza di Agesci ad Expo e sull’autofinanziamento con le prevendite. Il rover che aveva avviato la petizione fu criticato molto duramente. Ecco, questa cosa non mi ha fatto molto piacere.

EG

Branco Tikonderoga – Una giornata ad Arona

Ciao a tutti, siamo Rosa ed Elisa, due lupette del branco Tikonderoga.
Oggi vi raccontiamo una domenica di caccia in cui abbiamo preso il treno per andare ad Arona. Dopo aver camminato lungo il lago, abbiamo esplorato il territorio. Dopo una mega siesta, abbiamo attraversato la città per andare a messa. C’era un Don SIMPATICISSIMO che ci ha spiegato il Vangelo.
Tornati al parco, lungo il lago, abbiamo mangiato. Nella siesta dopo pranzo, siamo entrati nel lago. Infine è arrivata l’ora del giocone a punti sulle parole maestre; peccato che non c’era nessuno dei grigi.
Sul treno del ritorno, abbiamo incontrato una signora che ci ha raccontato della vita di Gesù. Lei diceva che Dio ci vuole con lui e che la comunione è proprio il segno. La signora ci ha parlato di san Giacomo martire. È stato molto interessante incontrare la signora.

Rosa ed Elisa

Branco Tikonderoga – C’e’sempre qualcuno con noi

Ciao a tutti, io sono Elisa.
In questo articolo vorrei raccontarvi un qualcosa che non sa nessuno, se non Bagheera, ma che ora vorrei dire a tutti.
Io sento sempre qualcuno al mio fianco, ma quando mi “giro” non vedo nessuno. Sapete perché?. (ciascuno provi a rispondere). Io non vedo nessuno perché è “invisibile”, cioè quel qualcuno è Dio e lui mi viene a cercare ogni volta che vado a messa; quasi d’istinto, per rispondergli, mi emoziono e mi viene da piangere. Di certo è un pianto di emozione e non di dolore o sofferenza. Quindi per favore, se durante la messa mi vedete piangere, non pensate che sto male, anzi sono felicissima!
Questa introduzione era per i più piccoli e per il mio branco. Per i più grandi cercherò di spiegarvi meglio:
Bagheera sapeva già tutto da un po’ di tempo e io mi vergognavo a dirlo in giro, ma ora mi sento pronta e lo dico qui, davanti a tutti.
Io sento nei ritratti e negli affreschi, nel vangelo, nella predica e in tantissime altre cose un’emozione, alcune volte, più forte di me e quindi piango. Lasciatemi piangere perché per me è una cosa bella.
La mia catechista mi ha detto che Dio vuole parlarmi ma, essendo ancora piccola, non riesco a capirlo, quindi aiutatemi a CAPIRE cosa cerca di dirmi. A voi è mai capitato? quando mi vedete in giro per la sede, rispondetemi (certamente chi mi conosce).
Voi credete in Dio? Beh io si. Io ci credevo già prima che Dio mi “parlasse” ma un po’ meno.
Quando mi vedete, chi mi conosce, rispondetemi se ci credete o no.
Questo articolo era per raccontarvi la mia esperienza e per dirvi di pensarci a Dio, perché prima o poi vi “contatterà” ma soprattutto: se mi vedete a messa a piangere, lasciatemi stare perché è una cosa bella.
Grazie per avermi letto fino a qui; davvero grazie perché così sapete la mia storia.

Elisa

Branco Albero del Dhak – Pernotto CDA

08Sabato 14 aprile 2018 alle ore 14.20 alle ferrovie nord a Busto Arsizio noi cda della zona siamo andati sul treno e dopo 3 fermate siamo arrivati a Saronno dove abbiamo incontrato altri cda come: Castano 1, Legnano 1, Busto Arsizio1…
Insieme ci siamo divisi in gruppi e abbiamo fatto un gioco dovevamo cercare dei capi e con l’aiuto di una mappa andare in giro per la zona di Saronno abbiamo finito il gioco alle 19: 45 dove abbiamo mangiato; poi verso le 21/ 22 abbiamo fatto una specie di san scemo dove avevamo fatto gli urli che avevamo inventato in treno.
Il nostro urlo:
datemi una “g”
datemi una “i”
datemi una “a”
datemi una “l”
datemi una “l”
datemi una “o”
“gialli”

appunto si basava sul colore giallo.
Dopo abbiamo fatto un gioco dove dovevi legarti un palloncino alla caviglia e dovevi far scoppiare il palloncino degli altri; circa alle 23 siamo andate a letto e noi eravamo in una stanza lontana dai maschi io ero vicina alle mie amiche: Margherita e Silvia.
Il giorno dopo abbiamo fatto colazione e abbiamo giocato a scalpo nel senso che eravamo divisi in gruppi e abbiamo creato delle basi con cui dentro avevamo delle carte e dovevamo andare a prenderle ma dovevi stare attento a non farti scalpare poi se avevi le carte giuste si poteva aprire lo scrigno e infatti dentro c’erano dei cioccolatini.
Verso le 12 siamo andati a messa con don Andrea, dopo abbiamo mangiato e giocato con nuove amiche quando alla fine un capo ci ha chiamati e ci ha dato delle foto ricordo… è stato molto bello, un’esperienza indimenticabile ma soprattutto da rifare. Alle 16.00 siamo tornati in stazione e siamo andati a casa.
Layla Toso

EDITORIALE – La città dell’uomo

Il mondo, di questi tempi, pare a tutti decisamente caotico. Crisi internazionali, crisi domestiche, crisi di governo e chi più ne ha più ne metta. Una situazione non semplicissima, dalla quale è anche tutto sommato comprensibile che si voglia fuggire. Questo sentimento trova un grande alleato in quella tendenza della mente umana a far cadere, quasi come se fingesse di farlo per sbaglio, i periodi meno belli delle nostre vite nel dimenticatoio. In questo modo, quando capita di leggere un libro o vedere un film che tratta di argomenti e problematiche contemporanei, pur essendo stato creato dieci, venti, trent’anni fa, ci stupiamo e, talvolta, finiamo col sorprenderci e chiederci quanto geniale e lungimirante dovesse essere stato il suo autore.
La verità è però spesso più complessa. Anche solo guardando un testo semplice ma a tutti noi familiare come quello di “Scouting for boys” troviamo riferimenti a crisi economiche, disoccupazione, guerre combattute per denaro e riarmo nucleare. Sembra quasi che la canzone sia stata scritta stamattina, eppure quelle che descrive sono in realtà tutte tristi situazioni con le quali l’umanità ha a che fare ad intervalli ciclici fin dal 1945 e, per alcune, fin dal tardo ’1800.
Ma questa riflessione può funzionare anche in modo positivo: è facile trovare in ogni media ideali e valori che hanno resistito al test del tempo, grazie alla loro bontà od utilità. Uno di questi appare nella stessa strofa dove stanno tutte le problematiche sopra elencate ma, a differenza di queste, è una realtà con un po’ più di tempo alle spalle, antica quanto l’uomo stesso: il bisogno di stare assieme al prossimo.
Mi riferisco al termine “città dell’uomo”, che non è un vero luogo fisico quanto piuttosto la realtà costituita dall’insieme di più persone che condividono degli ideali ed un obiettivo e che, nel luogo dove questi ideali vengono seguiti ed insegnati si trova come a casa.
Una di queste tante, piccole città fatte di amicizia e collaborazione potrebbe essere il nostro Macello, già occasionalmente chiamato “la città degli scout”. Un’altra ancora, una specie di città nella città, potrebbe essere questo stesso giornalino che tenete tra le vostre mani.
Certamente gli scopi e le possibilità del nostro Tuttoscout sono ridotti rispetto a ciò che l’associazione nella sua interezza può ed è in grado di fare, ma comunque anche noi della redazione non facciamo altro che cercare di fornire a tutti un mezzo che possa avvicinare le persone e farle comunicare tra loro, attraverso i diversi articoli. Ed una delle cose più belle è che le persone a parlare ed a condividere le loro opinioni non sono tanto i capi, quanto i ragazzi.
Unici veri depositari del modo in cui questa città riuscirà, o meno, ad espandersi.

Tricheco birbante