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Un rassegnato ottimismo

GENERAZIONE X

Ciao a tutti cari amici ed amiche e bentornati sulla nostra rubrica di Generazione X.
Non c’è due senza tre, dice un famoso detto, ed infatti eccoci qua, alla nostra terza “Grande Riapertura”, che se fossimo un grande magazzino ci avrebbero già indagato per riciclaggio ma, per fortuna, noi di queste cose ci occupiamo solo quando facciamo la raccolta differenziata.
Parlando di raccolta differenziata, eviterò per questa volta di parlarvi delle gioie, o dei dolori del rincominciare, l’ho già fatto, due volte, e farlo una terza mi parrebbe davvero uno spreco del vostro tempo.
Il tempo, ecco un argomento tanto banale quanto interessante: parliamo del tempo.
Sono ormai arrivato al punto, nella mia carriera scoutistica, in cui i ragazzi che ho seguito quando erano E/G mi stanno tornando in branca, sottoforma di Rover e Scolte in servizio e, fra poco, quegli stessi ragazzi a cui ho cercato (non sono così pieno di me da pretendere di esserci riuscito) di insegnare l’amore per gli altri e la natura attraverso l’avventura, accompagneranno le mie nottate trascorse in Co. Ca a parlare delle questioni più urgenti ed importanti.
Non è la prima volta che faccio un pensiero del genere, e non sarà l’ultima, ma nel corso dell’ultima attività mi ha colpito particolarmente, per un motivo ben preciso:
avevamo lasciato organizzare le attività di quel fine settimana ai capi squadriglia, un metodo relativamente desueto nel Busto 3 che è in realtà alla base della metodologia scout del reparto. Ma non siamo qui per parlare di metodo, siamo qui per dire che, ad un certo punto, uno dei miei R/S, un tempo repartista, fa ad uno dei miei attuali repartisti una (scherzosa) lamentela in merito alle regole di un gioco, uguale a quelle (meno scherzose) che una volta lanciava nella mia direzione.
Un dejavù, un piccolo viaggio nel tempo che è servito a farmi riflettere: un giorno tendiamo l’orecchio ed eccoci in un’altra realtà dove quello che ho cercato di insegnare si è ormai sedimentato, assieme a mille altri insegnamenti di mille altri insegnanti, in una persona che è cambiata profondamente rimanendo però sempre uguale a sé stessa.
Da allora (che in realtà è meno di una settimana) vivo le mie giornate, complice sicuramente l’attuale situazione di… tutto, in uno stato di febbricitante rilassatezza.
Perché in fondo, per quanto importante sia, anche da un punto di vista simbolico il nostro B.-P. Day, parlare di ripartenza è ahimè prematuro (mi dispiace, ci ho provato con tutto me stesso ma ecco qui che sto parlando di nuovo della terza ripartenza) perché, anche volendo essere ottimisti, non sappiamo cosa ci aspetti nel futuro, o quando un incidente apparentemente insignificante ci farà ripiombare alla mente l’epoca dei lockdown e dei DPCM e ci farà pensare “wow, ma quanto tempo è passato!”. Per ora, possiamo solo sperare che questo periodo d’apertura possa essere più lungo degli altri.
Nel mentre, possiamo fare di necessità virtù, imparando ad apprezzare il nostro nuovo stile di progettazione “alla giornata”, consapevoli se non altro che così vivremo ogni attività come se fosse l’ultima perché, almeno per qualche tempo, potrebbe esserlo davvero.
Nonostante questo atteggiamento, una cosa che deve diventare sia necessità sia virtù, è l’imparare dagli errori che abbiamo commesso durante e subito dopo il primo lockdown. È vero che non sappiamo cosa ci aspetti per il futuro, ma ci rimane il passato e con esso tutte le norme sul distanziamento e sulla sanificazione che abbiamo accuratamente memorizzato. La stagione calda si avvicina e, con essa, la possibilità di quantomeno pensare ai campi estivi.

Tricheco Birbante

Speranza post-apocalittica

21GENERAZIONE X

Buongiorno cari amici ed amiche e bentornati ancora una volta sulle pagine di Generazione X.
All’inizio, pensavamo che quella sarebbe stata una giornata di febbraio come tante altre. Un inverno ormai sempre più mite ci permetteva di muoverci liberamente per le strade senza preoccuparci troppo del nostro vestiario, al punto che la nostra più grande preoccupazione era impedire che i ragazzi si perdessero, o che evitassero di ferirsi mentre raccoglievamo l’immondizia lasciata lungo la strada. Ma il destino continuava a tessere la sua tela e, mentre ci dissetavamo passandoci l’un l’altro un unico bottiglione di Coca-Cola offertoci dal ristorante di fianco, gesto che non pensavamo sarebbe presto diventato un lusso, arrivò: non con l’assordante suono di sirene d’emergenza o col rombo di eventuali aereoplani nemici ma attraverso le brevi esplosioni dei suoni sintetici dei cellulari, messaggi da parte delle istituzioni, ma molto più spesso di amici e parenti, che ci avvisavano di come la quarantena fosse iniziata.
Tutti a casa, porte chiuse e finestre ben pulite perché, per molti, il mondo lo si sarebbe potuto vedere solo attraverso quel vetro, o quello delle televisioni, per un tempo ancora non meglio definito.
Questo testo (da leggere con in sottofondo la colonna sonora principale di Terminator) è una narrazione volutamente esagerata, che però aiuta a rispecchiare come mi sono sentito, quel fatidico 23 febbraio, quando la Lombardia subiva per prima quelle necessarie misure di contenimento che presto sarebbero state estese a tutto il paese, ed in particolare credo che tutti abbiano avuto un momento come il mio quando, mentre mi mettevo uno scarpone pronto a tornarmene a casa prima del previsto e riflettevo su cosa avrei fatto il giorno dopo, mi sono reso conto che tutti i miei impegni futuri erano inevitabilmente saltati, cancellati o messi in dubbio da un futuro che appariva di un’incertezza così profonda da essere avvolgente e così imperscrutabile da suscitare sentimenti di tranquillità e rassegnazione, piuttosto che di paura.
Altra prova dell’universalità delle mie sensazioni è come da qualche mese per definire quegli impegni che ormai sono solo un ricordo, dico che dovevano accadere ma “poi è finito il mondo”. “Avevo appena comprato una bella camicia nuova per gli scout… ma poi è finito il mondo”, “Sarei dovuto andare alla fiera del fumetto ma è finito il mondo”. All’inizio era una sciocca frase che usavo per rendere il mio vocabolario più interessante, ma la cosa che davvero mi ha stupito, e che ha reso questa frase parte del mio vocabolario comune è che le altre persone spesso capivano, senza bisogno di ulteriori spiegazioni, esattamente di quale periodo stessi parlando.
E questo, in realtà, un po’ mi rallegra e mi dà speranza. Quando si parla di post-apocalittico vengono in mente le immagini del videogioco di Fallout, e dei film di Mad Max o di Ken il guerriero, ma la verità è che un periodo post-apocalittico l’umanità l’ha già vissuto: era il medioevo e, benché nessuno vorrebbe augurarsi di vivere nel medioevo, è stato comunque un periodo in cui la popolazione europea è riuscita a sopravvivere nonostante le immense difficoltà, ed è stata un’epoca che si è rivelata fondamentale per gettare le basi delle nazioni moderne prima di finire: anch’essa con la sua piccola apocalisse della peste del ’1300-’1400 che, e non è un caso, coincide con l’inizio del rinascimento.
Non lo so se ci troviamo davanti ad un nuovo medioevo o ad un nuovo rinascimento, e la verità è che nessuno può saperlo, ma quello che so è che, comunque nel rispetto di tutte le normative, possiamo finalmente tornare a muoverci e ad incontrarci, a celebrare le nostre tradizioni scout e a condividere noi stessi col mondo. Insomma, siamo persone diverse di quelle che eravamo il 22 febbraio, e, credo, migliori. Ora siamo consapevoli di quanto difficile sia rimettere in sesto il clima del nostro pianeta che noi stessi abbiamo danneggiato, considerando che mesi di isolamento e stop alle macchine hanno appena scalfito il livello di inquinamento prodotto dalle fabbriche. Adesso siamo anche più consapevoli di quanto tutti quei lavori che definiamo “umili”, siano in realtà essenziali per il funzionamento della nostra società e meritevoli, di conseguenza, di rispetto e di diritti migliori. Siamo più consapevoli di quanto alcuni propagandisti siano disposti a giocare con la stessa vita umana solo per ottenere consensi e, spero, siamo ora anche meglio capaci di empatizzare col prossimo, ora che sappiamo cosa vuol dire vivere un’esperienza quasi traumatica.
Spero che siamo, come ho detto prima, persone migliori, e sono queste le persone che, credo, riusciranno a lasciare il mondo un po’ migliore di come lo hanno trovato.
Io cercherò di fare altrettanto, non deludetemi.

Tricheco Birbante

Generzione X- Din-Don: “Avete udito la buona novella”

Buongiorno a tutti cari amici ed amiche e bentornati sulla nostra rubrica di generazione X.
Le giornate ormai si fanno sempre più brevi, buie e freddolose, il peso dell’anno e di tutto quello che in esso è accaduto inizia a farsi sentire e, per via del clima sopra descritto, le uniche distrazioni per affrontare l’inevitabile malinconia consistono nel distrarsi a casa, oppure certo uscire, ma dirigersi il prima possibile verso un nuovo luogo caldo ed asciutto. Nel tragitto, poi, sarà facile imbattersi in qualche vetrina ed ecco allora che veniamo assaliti dal pensiero dei regali natalizi: Abbiamo iniziato abbastanza presto gli acquisti? Riusciremo a trovare tutto? Cosa comprare a QUELLA persona?
In un clima del genere non è difficile trovare una “buona novella”, che possa risollevarci il morale. Ci si potrebbe affidare al concetto classico e cristiano di “buona novella” che, spero non risulti una novità per nessuno, coincide con la nascita di Gesù Cristo. Ma anche questa realizzazione riesce a consolare poco lo spirito, e funziona bene solo durante la giornata del 25 Dicembre (del resto un compleanno si festeggia nel giorno del compleanno, non prima dopo, no?).
Tutti i 12 lettori e ½ abituali di questa rubrica sapranno come a me piaccia molto osservare il periodo natalizio anche attraverso le sue lenti antiche, precisamente attraverso il fatto che la festa originale di cui il cristianesimo si è appropriato si trovava verso la fine di dicembre perché, nell’antichità, già sopravvivere a metà di quel gelido periodo che andava da Novembre a Febbraio era un traguardo che meritava di essere festeggiato. Una festa che insomma non nasceva dal desiderio di lodare una divinità (anche se molte culture lo facevano… e lo fanno ancora, ops!) o di festeggiare qualche raccolto, ma era semplicemente un’occasione per ritrovarsi attorno ad un fuoco nelle tenebre di Dicembre e stare allegramente in compagnia, consapevoli che sia prima che dopo sarebbero stati tempi duri. Una tradizione che in realtà è continuata fino al ’700, fra ubriachissimi monaci amanuensi e giovanotti del New England pronti a sfondarti una finestra a sassate se non ricompensati con dei dolci (per chi se lo stesse chiedendo, sì, originariamente “dolcetto scherzetto” era una tradizione natalizia).
Oggi la situazione in realtà non appare tanto diversa. Per essere un mese di preparazione ad un evento che viene giustamente visto come un’occasione profondamente gioiosa, ci sono infinite motivazioni per arrivare stressati al Natale. Proprio per questo, anziché aspettare una “lieta novella” che potrebbe non arrivare mai, prendiamo spunto da quelle antiche tradizioni ancestrali e cerchiamo di essere noi quella buona novella. Facciamo in modo di essere una persona che porta allegria, o quantomeno un po’ di umano calore a tutti quelli che incontriamo, senza nessun’altro motivo sottostante che non sia il fatto che essere umani ed essere arrivati fino a questo punto della nostra vita, qualunque esso sia, è un evento che merita di essere festeggiato.
Filippo Mairani

L’importanza di salire il primo gradino

Benvenuti cari amici ed amiche ancora una volta sulle pagine di generazione X.
Questa piccola formula, che ormai uso da anni e che, vi dirò, è un ottimo antidoto al tipico “terrore della pagina bianca” era nata con l’intento di essere accogliente ed inclusiva: in essa si dà il benvenuto ad entrambi i sessi messi, per quanto l’ordine della lettura possa permetterlo, esattamente sullo stesso piano.
L’idea di trattare tutti nella maniera il più equa e priva di pregiudizi possibile è sempre stato un ideale che ho sempre cercato di rispettare nel corso della mia vita e la sua importanza è per me aumentata quando, dopo essere diventato capo, mi sono trovato a dovermi relazionare con tantissimi ragazzi diversi: mi sono trovato ad interagire con adolescenti timidi, esuberanti, astuti, inconcludenti, ed a dover trattare tutti loro allo stesso modo, ma anche diversamente, cercando di ottenere il giusto bilanciamento fra la capacità di mettermi nei loro panni ed il mantenermi distaccato per poter trovare una soluzione oggettivamente corretta ai loro problemi. Non importa se la problematica fosse la scuola, delle tensioni in famiglia, la mancanza di denaro o quant’altro, si fa il possibile per trovare una soluzione cercando, nei limiti della ragionevolezza, di venire incontro non solo ai bisogni del ragazzo ma anche di rispettare quello che lui percepisce come importante.
Per questo trovo genuinamente avvilente quando, di fronte ad alcune prese di posizioni dei ragazzi che evidentemente sono costate loro molto ragionamento, non poco coraggio e che andranno inevitabilmente a modificare profondamente come loro stessi si vedono e forse anche di più come il mondo esterno interagirà con loro, ci sono capi la cui reazione è chiedersi “Non è che lo sta facendo per attirare attenzione?”.
Ad onor del vero, è una possibilità: tutti abbiamo avuto dei periodi più o meno fuori dal comune durante l’adolescenza, ma questo mi sembra il modo peggiore per affrontare la questione.
Innanzitutto perché mi pare irrispettoso nei confronti del ragazzo. Può anche darsi che nel lungo termine si tratti solo di una bislacca fase adolescenziale ma, nell’adesso che vive il ragazzo, quella fase è, a tutti gli effetti, ciò che lui è: perché non considerarlo seriamente?.
Secondariamente perché, trattando il tutto come il capriccio di un momento, rischiamo di alienarci il ragazzo e di lasciarlo da solo proprio nel momento in cui più può aver bisogno di noi: sono sicuro che per molti gli scout siano stati una zona sicura nella quale rifugiarsi quando il mondo esterno sembrava esserci nemico: in attività potevamo sfogarci rispetto ad un ambiente casalingo troppo ingessato, o era dove potevamo mettere a frutto capacità mentali e manuali che la scuola non ci chiedeva di usare; per me era il luogo dove potevo semplicemente essere me stesso, in contrasto con un ambiente scolastico che mi voleva, ad ogni costo, amalgamato alla norma.
E questo è nulla rispetto a quello che deve passare un ragazzo che si renda conto di provare sentimenti per quello che, ancora per molte persone, è cinsiderato il sesso sbagliato, e questi ragazzi meritano di trovare negli scout un posto aperto, costruttivo ed accogliente, come lo abbiamo trovato noi.
L’ultimo, fondamentale motivo per cui non dovremmo prendere con leggerezza queste problematiche dei nostri ragazzi è che, che ci piaccia o meno, questo è solo il primo gradino. Il mondo sta cambiando molto in questo senso e, se a noi che facciamo gli educatori è chiesto semplicemente lo sforzo di accettare il cambiamento, per molti nostri ragazzi l’incertezza del cambiamento è la loro realtà quotidiana, in cui sguazzano molto meglio di noi: oggi scoprono di provare sentimenti per il loro stesso genere, dopo inizieranno a chiedersi se i vestiti che portano rispecchiano veramente chi sono dentro, e così via finché, un giorno, ci troveremo col problema di capire quale, dei due possibili patacchi cucibili sul taschino destro, sia giusto dare al ragazzo.
La risposta non sarà semplice e richiederà un lungo e profondo dibattito: tanto vale iniziare a portarci il più avanti possibile.
Tricheco Birbante.

Uomini, omuncoli e superuomini

Uomini, omuncoli e superuomini
Buongiorno a tutti cari amici ed amiche e benvenuti ancora una volta su Generazione “X”.
Il tema di questo numero, come vi sarete accorti è la “leadership” ovvero, la capacità di comandare. Il concetto non è difficile da comprendere anzi, è così semplice che probabilmente ognuno di voi ha già in mente un qualche esempio: Forse un genitore che ha dovuto prendere una decisione difficile che poi si è risolta per il meglio, forse un capo squadriglia che ha evitato che voi, a differenza delle altre squadriglie, foste colti di sorpresa dall’acquazzone che si è manifestato durante l’uscita autogestita, o forse una figura irreale, che rappresenta il vostro ideale massimo di comandante: coma capitan America, o Superman.
È così semplice da comprendere che molto spesso le persone non ci pensano troppo intensamente e confondono il “leader”, il comandante responsabile, col “capoccia”: un termine un po’ meno utilizzato che, semplicemente, rappresenta chi impera senza costrutto: si fa come dice lui, senza obiettare e senza che lui debba dare il benché minimo esempio.
Detto così, sembra facile accorgersi dei suoi comportamenti, e di conseguenza intervenire per non seguirlo o addirittura affrontarlo per fargli correggere il proprio comportamento ma, come ci in segna la storia, non sempre è facile guardare sotto la maschera e molti, anzi, evitano esplicitamente di farlo: prende decisioni velocemente e le porta a termine, a che pro lamentarsi?
Come si può fare, quindi, per non cadere in questi tranelli? Beh, per trovare la chiave di volta bisogna rivolgersi verso una terza frangia di persone: coloro che non riescono a vedersi come un “vero leader” come qualcuno in grado di prendere la giusta decisione in ogni situazione o che si creano da soli le soluzioni ottimali, e questo no solo è assolutamente normale, ma è universale.
Tornando ai nostri esempi fittizi a stelle e strisce, sono forse la superforza e lo scudo a rendere Cap. un buon leader? No, è la volontà a prendere decisioni difficili quando nessun altro lo vuole fare ed la tendenza al sacrificio. Superman è un buon comandante perché ha tutti i superpoteri del mondo? Certo che no, è un buon comandante proprio perchè usa solo quella che per lui è una piccola parte ei suoi poteri per aiutare le persone in difficoltà: perché ha ben chiaro cosa è giusto e cosa è sbagliato e vive secondo quel credo.
Come avrete notato, le qualità che rendono tale un buon leader non si ottengono grazie alla nascita o attraverso il talento, ma impegnandosi, giorno per giorno, a riflettere sugli avvenimenti della vita per riuscire a vedere la miglior soluzione possibile, e questo vale per tutti, anche quelli che ora avete davanti a voi come grandi leader sono partiti dalla vostra stessa posizione. Loro ce l’hanno fatta: perché non dovreste riuscirci voi?
Tricheco birbante

una comoda mangiatoia

Ciao a tutti cari amici ed amiche, e bentornati sulla nostra rubrica di Generazione X.
Voi state probabilmente leggendo questo mio articolo in un luogo comodo: forse semplicemente su di una panca in sede, forse spaparanzati sul divano di casa, o magari siete persone più sofisticate e vi godete il Tuttoscout sul perlaceo trono del “pensatoio”, e più in là non mi spingo.
Il sottoscritto, invece, nel momento di scrivere questo articolo si trova un po’ incriccato, schiacciato dentro un treno che, salvo imprevisti, lo riporterà a casa fra circa quattro ore.
Ma non dico questo, sia ben chiaro, per lamentarmi. Chiunque sia sopravvissuto ad una route sa quanto sia bello fare un viaggio avventuroso, ma la parte finale di questo prevede il ritorno ad un luogo che si possa chiamare “casa” e la triste verità è che, per alcune persone, questo non è possibile.
Non fu possibile per Maria e Giuseppe che, in viaggio per il censimento furono sorpresi dalle tenebre lontani dal loro paese natio ed è successo, con una gravità differente, a tutti coloro che hanno di recente affrontato i passaggi. La loro casa, vuoi che fosse il cerchio, il branco o il reparto ecc. è infatti irrimediabilmente nel passato.
Dove, quindi, possono trovare rifugio dalle tenebre della notte?
Come la mangiatoia dove Gesù ha passato il suo dì natale è stata procurata da uno sconosciuto dotato di un cuore un pochino più largo degli altri, credo che spetti ai membri delle unità di accoglienza impegnarsi per fornire ai nuovi ospiti un luogo dove si sentano sicuri di esprimersi ed essere sé stessi.
Non solo durante dicembre, nel tipico spirito natalizio, ma anche per tutto il resto dell’anno perché, se è vero che le singole buone azioni fanno bene, è solo con la perseveranza che si ottengono davvero obiettivi.

-Tricheco Birbante

GENERAZIONE X – Nel mondo ma non del mondo

Ciao a tutti cari amici ed amiche e bentornati sulla nostra rubrica di Generazione X.
Dopo le fatiche del campo estivo tornare alla monotonia della città sarà sicuramente sembrato a molti una sorta di vacanza nella vacanza. Certo, ora che impegni scolastici e lavorativo sono ricominciati per tutti, anche i ricordi del campo estivo si tingono di malinconia ma, immersi nella beatitudine degli ultimi giorni di vacanze estive, come devono esserci sembrati faticosi quei giorni di campo senza tv, materasso o acqua calda sempre disponibile.
Eppure, nonostante lo stile spartano, non si può dire che la nostra vita al campo sia stata del tutto diversa da quella che conduciamo a casa: mangiamo, dormiamo, chiacchieriamo con le persone che ci stanno vicino, ci laviamo, lavoriamo e così via.
Le azioni che compiamo sono le stesse, la differenza sostanziale risiede nell’attenzione che mettiamo nello svolgere queste azioni e nel come ci poniamo nei confronti delle persone che ci stanno attorno: in casa è facile lavare i piatti quando c’è la lavastoviglie o qualcun altro a cui si può delegare il compito, difficile diventa riuscire a mettersi d’accordo per lavare tutti la propria gavetta, il bicchiere, le posate e poi le pentole in modo da ritagliarsi anche del tempo libero.
Questo tipo di comportamento secondo me è bene incapsulato nel detto “nel mondo, ma non del mondo” ed è quello che ci contraddistingue anche nel come viviamo la nostra vita di tutti i giorni dove non solo prendere la strada comoda, cercare di lavorare il meno possibile o col preciso scopo di affossare chi è più debole di te è possibile, ma talvolta è addirittura consigliato!
Ogni fine settima invece noi cerchiamo di insegnare l’esatto opposto, di costruire un mondo dove la comprensione, la correzione fraterna e l’impegno siano tanto gli ideali a cui ambire quanto gli strumenti da sfruttare nel quotidiano.
E sarà proprio la nostra bravura nel valorizzare questo lato di noi, soprattutto senza fazzolettone, quando tutto ci dice di fare il contrario, che ci permetterà di capire il nostro valore come individui.

Tricheco Birbante

GENARAZIONE X – Una città a misura d’uomo

Da quando la rivoluzione industriale ha reso inutile una larga forza lavoro per la coltivazione del terreno, la vita degli abitanti della maggior parte del pianeta ha iniziato ad essere vissuta nelle città. Le città sono dove mangiamo, studiamo, lavoriamo, ci innamoriamo, esistiamo. Si potrebbe dire, scomodando Aristotele, che ormai la giungla d’asfalto sia l’habitat naturale dell’animale sociale.
Nonostante questo, spazi creati apposta dagli umani per gli umani finiscono col non soddisfare. In città è facile muoversi e trovare tutto quello di cui si può aver bisogno, eppure questa illimitata possibilità di scelta ci fa sentire comunque intrappolati. Liberi di scegliere, certo, ma sempre nei limiti e nei tempi che ci impone un “altro” sempre invisibile ma mai definito, oggi più che mai: Il fondatore di Google, Larry Page, non sa esattamente come funziona l’algoritmo che gestisce le ricerche, così come non lo sa nessuno delle centinaia di programmatori che per lui lavorano; eppure questi è bravissimo a consigliarci quello che ci piace, e nessuno si fa troppe domande.
Ma se il luogo stesso dove si svolgono le nostre vite non ci è particolarmente amichevole, potrà mai esisterne uno? Italo Calvino, autore a me molto caro, partiva da uno spunto di riflessione simile per il suo libro “le città invisibili”. Luoghi fantastici e bizzarri; alcuni nascosti altri in piena vista fra cielo e terra, vita e morte, realtà e finzione. A viaggiare tra di essi non sono però tanto i personaggi del libro quanto il lettore stesso, spinto infine ad interrogarsi sulla natura di questi luoghi fantastici e decidere se posti del genere esistano, se o potranno, forse, un giorno esistere e se davvero valga la pena che esistano.
Possibile quindi che l’unica vera fuga dal grigiore delle nostre città sia possibile solo attraverso la fantasia?
Sì, ma anche no.
È vero nel senso che l’unica vera fuga possibile è attraverso qualcosa di immateriale: il rapporto che viene a crearsi tra persone diverse.
Si dice spesso che la città isoli gli individui rispetto ai paesini dove si conoscono tutti da sempre, e questo è vero, ma è anche vero che la città presenta al suo interno moltissimi luoghi di aggregazione creati apposta per interconnettere le persone, ed è proprio qui che attraverso passioni, ideali, comunanza d’intenti e di valori le persone possono iniziare a compiere le loro scelte in libertà, sicure di essere circondate da altri che condividono la loro idea di bene e con le quali possono sentirsi a casa.
E come viene designato il luogo dove molte persone hanno casa, se non città?
Ma una città diversa, non fatta di cemento e neon ma di carne ed emozioni, una vera e propria “città dell’uomo”, che si serve delle infrastrutture e della durezza della città che la circonda come mura difensive, per potersi dare una forma fisica ed iniziare via via ad espandersi per tutti i corsi e le vie, in maniera invisibile, col solo scopo di poter unire tra loro quante più persone possibili e riuscire un giorno a trasformare la città e, chissà, magari anche il mondo intero per lasciarlo, si spera, un po’ migliore di come lo si è originariamente trovato.
Oppure, se davvero il vivere costantemente in città risultasse così difficoltoso, si potrebbe provare a trascorrere ogni singolo finesettimana andando per boschi.
Ma solo un pazzo farebbe una cosa del genere.

Tricheco Birbante

Amore VS Amore

Qualunque riferimento a fatti, persone o avvenimenti realmente avvenuti è puramente casuale.
Mi sono divertito un mondo a spiegare il tema di questo Tuttoscout ai ragazzi del mio reparto che scrivono su questo giornalino perché, non appena ho pronunciato loro la parola “Discernimento” hanno strabuzzato gli occhi, alzato le sopracciglia e tirato le guance così tanto da far sembrare che i denti tentassero di fuggire dalla bocca.
Insomma, erano caduti nel panico più totale, per fortuna sopito da una traduzione in italiano del termine e la rassicurazione che, come sempre, potevano gestire il tema come meglio sentivano nelle loro produzioni.
Probabilmente anche io, anni addietro, devo aver reagito così quando ho sentito la parola per la prima volta o forse, con quella gioia spesso scambiata per vilipendio che mi suscitano le cose di chiesa, mi sono messo a ridere. Perché la prima volta che ho incontrato questa parola è stata in compagnia di un’altra parolaccia, per fortuna più comprensibile: “vocazionale”.
Il “discernimento vocazionale”, per quello che ho potuto capire, è l’atto del comprendere se il mettersi o meno al servizio del Signore è la propria strada; se la chiamata che senti è davvero quella di Dio o soltanto un seccante centralinista. Per capire bene questa differenza, esistono anche dei veri e propri seminari, che siete liberi di immaginare come i nostri campi estivi, ai quali partecipano moltissime persone.
Un mio amico è stata una di queste persone.
Alcuni penseranno di aver già intuito in che direzione vuole andare l’articolo ma, mi spiace deludervi, questa non sarà un’agiografia. Il mio amico infatti alla fine ha deciso di rimanere un semplice civile, che evidentemente Dio aveva un altro piano per lui e di cambiare agenzia telefonica.
Naturalmente, il processo decisionale non è stato semplice: non so con precisione cosa possa aver pensato in quei giorni complicati. Posso però immaginare che abbia comparato, soppesato vari aspetti della sua vita presente e futura ed abbia deciso in favore di quelli che riteneva più importanti. Qui finiscono le mie conoscenze da amico ed iniziano le mie fantasie di scrittore. Circola infatti una voce su questo mio amico la quale, benché io ritenga essere frutto di pura invenzione, ho deciso di considerare reale, per continuare più agevolmente la narrazione del mio articolo: si vuole infatti che proprio nel giorno in cui doveva partire per il seminario, questo mio amico avesse dato il suo primo bacio.
Amore di Dio, o amore terreno? Questo, secondo me, è un ottimo esempio di capacità di distinguere. Mentre spiegavo il concetto di discernimento ai miei ragazzi, infatti, ho deciso di puntare su esempi semplici, come il saper distinguere tra il bene ed il male.
La verità però è che nessuno che sappia fare questa distinzione sceglierà mai coscientemente il male e, se anche lo facesse, sarebbe perché è convinto che questo porterà ad un bene più grande in un secondo momento.
Imparare a distinguere, invece, tra due cose buone e che si amano, quale sia quella che fa per noi, è infinitamente più difficile.
E la cosa più interessante è che questo dilemma non è risolvibile. Discernimento infatti significa semplicemente questo: il saper distinguere e quindi, potenzialmente, anche il rendersi conto che entrambe le proposte che abbiamo davanti sono per noi perfette o, quantomeno, allettanti. In che modo, quindi, possiamo uscire da questa situazione?
La risposta, come in realtà immagino abbiate già intuito, è di scegliere una delle possibilità.
Il come operare questa scelta, è un viaggio che sia io che voi, cari lettori, dovremo intraprendere da soli.
Magari, se possibile, baciati da qualcuno ad inizio percorso.
Tricheco birbante

GENERAZIONE X – Impressioni a velocità luce

Sono sicuro che tutti e sei i gentili lettori che seguono con costanza i miei articoli avranno ormai compreso che amo strutturarli partendo da riferimenti a film o serie TV più o meno recenti. Faccio questo perché spero di catturare l’interesse del lettore facendo leva sulle sue possibili conoscenze pregresse, perché sono genuinamente convinto che il modo migliore di comprendere la realtà sia attraverso la narrativa e perché, in questo modo, posso dire a me stesso che tutto il tempo passato davanti alla TV non è sprecato.
Originariamente era mia intenzione procedere allo stesso modo con questo articolo, anche considerando che tema di questo numero (Il nostro impatto sul mondo extra-associativo) ben si agganciava ad un film che ho visto recentemente, la cui trama prevedeva il precipitare di meteoriti sulla Terra e protagonisti messi alla prova dalla necessità di farsi comprendere in un ambiente che non era propriamente il loro.
E prima che possiate pensarlo no, non era un blockbuster americano e sì, c’erano un sacco di belle esplosioni.
Ma come spesso accade nella vita, le decisioni finali non vengono prese da noi ma dalle circostanze che ci circondano, e così è stato per me.
Il mio progetto originale si è infatti impattato al suolo non appena ho avuto il piacere di leggere gli articoli, ed ascoltare le opinioni che i miei repartisti hanno voluto condividere con me.
Non credo di stare tradendo, con questa mia decisione, il tema scelto per il giornalino. L’idea era infatti quella di affrontare il tema dell’impatto in un luogo diverso da quello su cui ci muoviamo scoutisticamente tutti i giorni, ma nessuna nazione sulla Terra sarà mai tanto aliena e diversa da noi quanto l’animo delle persone che abbiamo vicine. Ed io sento di essere riuscito, nel bene e, ahimé, nel male, a lasciare là un vero impatto. È là che, più o meno volontariamente ho lanciato le mie meteore che hanno formato nuove alture e nuovi crateri, che si sono poi riempiti dei pensieri e delle riflessioni dei colpiti, ed hanno assunto un nuovo e bellissimo aspetto di lago.
E se questa cosa è stata possibile a me, sono sicuro che sarà avvenuta allo stesso modo in tutti i nostri ragazzi e che anche loro, come una specie di granitica pianta spaziale, con le loro parole e le loro azioni saranno in grado, anche senza fazzolettone, di impattare negli animi delle altre persone e lì, col tempo, germoglieranno.

Tricheco birbante