Archivi tag: storia

Sabato 14 ottobre “accoglienza”! Ma chi sono gli scout?

Questo sabato sarà un giorno speciale dedicato a quanti volessero iniziare la loro avventura scout (qui tutti i dettagli). Per raccontarvi, in modo un po’ insolito, chi sono e cosa fanno questi scout vi proponiamo uno scritto di Pierluigi Biondi:
 
Inchiodati alla fulminante ma ingenerosa definizione che di loro diede George Bernard Shaw – “bambini vestiti da cretini guidati da un cretino vestito da bambino” – gli scout, oltre che al sarcasmo dei più, sono sopravvissuti a due guerre mondiali, al boom dei ’60, all’impegno dei ’70, al riflusso degli ’80, alla prima e alla seconda repubblica, al passaggio del millennio e alla crisi del sistema, al crollo dei miti e alla new age. Come la Dc o il Festival di Sanremo, di cui difficilmente si trovava qualcuno disposto pubblicamente a parlarne bene ma che poi – nel segreto dell’urna e dei dati Auditel – mietevano consensi, così gli scout hanno risposto alle ironie e alle raffigurazioni caricaturali riempiendo le loro sedi di lupetti, coccinelle, esploratori, guide e rover.
Le stime parlano chiaro: nei cento anni e passa di attività, almeno mezzo miliardo di uomini e donne hanno pronunciato la promessa scout, impegnandosi a compiere il proprio dovere “verso Dio, la Patria e la Famiglia”, ad “agire sempre con disinteresse e lealtà” e ad “aiutare gli altri in ogni circostanza”, dando sempre “il meglio di sé”.
Tra loro molti i nomi celebri: dai coniugi Clinton al colonnello Muammar Gheddafi, dall’astronauta Neil Armstrong all’icona pop-rock Jim Morrison e – per restare in Italia – i politici Ignazio La Russa e Giovanna Melandri, i cantanti Gino Paoli e Jovanotti, il capo della Protezione civile Guido Bertolaso e il dirigente del Sismi Nicola Calipari, morto a Baghdad durante la liberazione della giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena. Anche Georges Prosper Remi – in arte Hergé, creatore di Tintin (foto a sinistra) – ha calzato il bizzarro cappello a larghe tese e un suo murale, dipinto sul corridoio di una scuola dismessa in cui sono riprodotti degli scout, è diventato un oggetto di culto per gli appassionati delle opere del disegnatore belga.
L’atto di nascita dello scoutismo è del 1907, quando l’ufficiale dell’esercito inglese Lord Robert Baden Powell portò una ventina di giovanotti nell’isola di Brownsea, nella Manica, per dar vita al primo campo – jamboree in gergo scout – della storia. L’idea, a B. P. (come affettuosamente viene chiamato dai suoi seguaci), venne dopo aver verificato il successo che il manuale Aids to Scouting – scritto originariamente per i suoi soldati – aveva tra i ragazzi, a tal punto da essere adottato come libro di testo nelle scuole. Da lì la pubblicazione, nei primi mesi del 1908, del manuale di formazione Scouting for boys che diventerà la Bibbia di intere generazioni con i pantaloncini corti e il fazzolettone al collo.
Alla figura del fondatore, recentemente, la Lizard Edizioni – la casa editrice fondata da Hugo Pratt – ha dedicato il volume a fumetti di Ivo Milazzo e Paolo Fizzarotti intitolato Impeesa (p. 72 a colori, € 19,50) come il soprannome con cui gli zulù africani chiamavano Baden Powell.
Attualmente gli scout presenti nel mondo sono quaranta milioni, di cui almeno duecentomila iscritti in una delle tre associazioni della penisola: Agesci, Fse e Cngei, le prime due di ispirazione cattolica, la terza laica. Un esercito che marcia zaino in spalla e sacco a pelo, ordinato in squadriglia o in pattuglia, a far esperienza di vita comunitaria all’aria aperta. Non esistono problemi insormontabili: un fuoco da accendere in condizioni precarie, un accampamento da allestire all’improvviso o un ferito da curare, per ogni cosa c’è una soluzione. Una solida formazione, tanta buona volontà e inesauribile inventiva, questo è il segreto.
Pronti a dare una mano dove serve, gli scout si distinguono per la loro concezione di una solidarietà fatta “di prossimità” (quasi una versione attualizzata del comandamento evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso”), lontana anni luce dal professionismo del buonismo internazionale che corre in soccorso dei terremotati dell’ultimo anfratto del pianeta o che fa barricate contro l’estinzione di un rarissimo insetto della foresta amazzonica ma che si accorge dell’anziana dirimpettaia morta da una settimana solamente all’arrivo dei vigili del fuoco. Abituati al rispetto e alla fatica, tipi così difficilmente diventano bulli: ecco perché, in occasioni quali il concerto di qualche giorno fa di Fiorello e Baglioni contro la violenza degli adolescenti nei confronti dei loro coetanei, è più facile scoprirli dall’altra parte delle transenne a distribuire acqua o a prestare soccorso piuttosto che ad agitarsi a ritmo di musica. Così come si possono trovare, durante i sabati sera degli happy hour portati fino al mattino e delle corse in automobile, a spiegare ai ventenni i rischi dell’alcool o dentro qualche carcere a fare volontariato tra i detenuti o a dare assistenza tra i pellegrini del Giubileo romano. Oltre che prendersi cura degli altri, però, sono anche capaci di pensare a se stessi, sviluppando una spiccata propensione all’adattamento nelle situazioni più difficili e alla pianificazione del lavoro di squadra. Non è un caso, quindi, che l’Università Bocconi mandi i suoi allievi a studiare il modello scout a Ginevra o che l’agenzia di lavoro interinale Adecco suggerisca ai candidati di inserire nel curriculum le esperienze da esploratore o da rover. Perché una volta scout lo si è per sempre, come recita il loro motto: semel scout, semper scout.
Ha detto bene Edoardo Missoni (foto a sinistra), segretario generale uscente dell’Organizzazione Mondiale del Movimento Scout: «Lo scoutismo è l’unica scuola di management al mondo ad avere 100 anni di tradizione, e l’unica che si può frequentare a partire dagli 8 anni di età».
E allora perché di loro rimane lo stereotipo del “fregnone”, quello – per intenderci – descritto con l’attempato Nuvolone da Carlo Verdone nel suo ultimo film Grande, grosso e… Verdone? Chissà se per la loro somiglianza a dei novelli Balilla (analogia fin troppo spiccata se il regime decise che di milizia giovanile ne bastava una e decretò lo scioglimento del movimento scout e lo condannò alla clandestinità del periodo detto della “Giungla silente”). Oppure per la rappresentazione che Clark Barks ne diede, a partire dal 1951, con le Giovani Marmotte disneyniane interpretate da Qui, Quo e Qua – nipotini dello sfaccendato e sfigato zio Paperino – che si mostrano tronfi sull’attenti petto-in-fuori-pancia-in-dentro al cospetto del loro capo, quel trombone del Gran Mogol, smaniosi di ricevere la milionesima medaglia per l’ennesima prova di capacità e di coraggio. O forse ancora, la risposta potrebbe fornirla lo storico John Springhall che, in un articolo pubblicato nel 1972 sulla rivista International Review of Social History, così definiva – con pomposissima retorica progressista – il movimento scout: «Una versione personalizzata (del fondatore Baden Powell, ndr) di socio-imperialismo, onnipresente darwinismo sociale e culto edoardiano dell’efficienza nazionale».
Una macchietta, in pratica. E sì, perché le uniformi, l’organizzazione gerarchica, la disciplina, la “buona azione quotidiana” – da che mondo è mondo – stimolano lo sghignazzo negli invidiosi che camuffano il proprio conformismo, ideale o sociale che sia, con il ribellismo dei costumi. Gli stessi che non ci spiegano perché debba apparire più ridicolo un ragazzino beneducato con i pantaloni alla zuava che dorme in tenda piuttosto che un adulto (?) con le treccine rasta che si sballa rinchiuso dentro un centro sociale.
 
Pierluigi Biondi (L’Aquila, 1974), giornalista, scrive per il quotidiano Secolo d’Italia e la rivista Senzatitolo, trimestrale di teatro e cultura. Ha collaborato, in qualità di editor, al libro Tre punti e una linea. La storia attraverso la radio (ed. Teatroimmagine, 2007). Dal 2004 è sindaco di Villa Sant’Angelo (Aq).
 
L’articolo è stato ripubblicato dall’originale sull’archivio-blog di Roberto Alfatti Appetiti

La Freccia Rossa all’Università Cattolica

Freccia Rossa cartolinaLa storia della Freccia Rossa della Bontà, l’impresa scout del 1949 raccontata dal Clan Zenit insieme a Federica Fratini, è arrivata anche all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
È
stata la professoressa Carla Ghizzoni ad invitare, giovedì 12 maggio, Ilaria Scandroglio ed Enrico Gussoni all’interno di una lezione del corso di Storia delle Istituzioni Educative. Gli ex scolta e rover anziani dello Zenit hanno agganciato il loro intervento alla lezione sulla disputa educativa e politica tra la Chiesa Cattolica e il regime fascista culminata nei “fatti del ’31”. Partendo da un doveroso accenno all’attività dello scoutismo clandestino tra il 1926 e 1945 e un riferimento all’attività di soccorso e aiuto a rifugiati e perseguitati politici dell’OSCAR, si è introdotto il discorso della nascita del roverismo italiano e della vocazione al servizio tipica di questa branca.

Da lì all’incontro con Don Gnocchi, una figura che gli allievi delle materie pedagogiche rincontreranno nel proseguo dei loro studi, il salto è guidato dalle condizioni della Milano dell’epoca, in cui “il sindaco Greppi indisse una colletta tra i più agiati per pagare i vaccini contro la tubercolosi” e dove “c’erano bambini che morivano di poliomielite”.

Con un accenno alla scoutismo “Malgrado Tutto” e all’attuale impegno di AGESCI nell’accogliere la disabilità, si è quindi arrivati all’impresa vera e propria: mentre le immagini scorrevano sul proiettore si ripercorreva la strada e gli incontri compiuti da quei rovers e dai loro tre capi, coraggiosi in primis ad accettare e proporre questa sfida educativa.

Non si è trascurato di menzionare l’appoggio istituzionale ed ecclesiastico al “Raid Milano-Oslo”, ne i suoi significati più profondi. Al di la dell’impresa avventurosa e “sportiva”, infatti, centrale rimane la meta del “Moot della riappacificazione”, l’incontro che per primo dopo la guerra riunì rover da tutto il mondo, e la connessa visione pacifica e profetica di un’Europa unita in pace e solidarietà.

LogoRNOvviamente, parlando a giovani coetanei di coloro che quest’impresa l’hanno vissuta e di cloro che l’hanno poi raccontata nel volume “La Freccia Rossa – 1949: diario di un’impresa scout attraverso l’Europa” non si è potuto dimenticare di menzionare il significato presente di questa impresa e l’ottica di “diritti al futuro” con cui si è deciso di raccontarla durante il Capitolo e Route Nazionale 2014: il fatto che questi ragazzi non aspettarono di essere “adulti” per essere cittadini, ma si misero in gioco appena possibile per un obbiettivo grande.

L’intervento, come il libro, ha destato stupore e interesse tra gli studenti e i complimenti della professoressa Ghizzoni per la “ricerca storica svolta fuori dell’ambito universitario […] analizzando tutti i tipi di fonti: iconografiche, stampate e orali…”

La prossima occasione per raccontare della Freccia Rossa sarà a Marnate il 2 luglio, nella sera di una due giorni che unirà scoutismo e volontariato presso la Casa di Alice.

La fabbrica incantata

Cari amici ed amiche di Generazione X, dovete sapere che in una grande metropoli del nostro paese viveva un ragazzino di nome Roberto, il cui più grande desiderio era di riuscire a vedere un albero vero. Non uno di quegli alberi brutti e grigi che si trovavano in città, a lato delle strade trafficate. Roberto voleva una foresta rigogliosa e piena di vita, come quelle che finora era riuscito a trovare solo sulle pagine di un libro sponsorizzato dal National Geographic che aveva ricevuto alcuni anni prima a Natale.
Aveva provato più volte a convincere i suoi genitori a portarlo in un posto pieno di natura, ma loro non facevano che ripetergli che per fare una cosa del genere bisognava aspettare le vacanze e, quando un soleggiato pomeriggio di primavera aveva proposto alla madre di andarci da solo, così non avrebbero dovuto prendere le ferie, lei si era limitata ad accarezzarlo, dicendogli che era ancora troppo piccolo, ed era tornata a curare i fiori che teneva sul balcone.

Ma Roberto non si sentiva affatto piccolo, così, durante un uggioso sabato pomeriggio, uscì di casa deciso a trovare quella natura che da tempo andava cercando.
Purtroppo per lui però l’impresa si rivelò ben presto più ardua del previsto. Roberto sperava che, allontanandosi dal quartiere, le condizioni dei vegetali che avevano la sfortuna di abitare in città migliorassero, ma la sua era una speranza vana. I pochi alberi che era riuscito a trovare lungo i marciapiedi erano contorti, secchi e tristi. Gli ricordavano gli alveoli di un fumatore che aveva visto sul libro di scienze. Incominciava poi a chiedersi a cosa potessero servire i cartelli con su scritto “Vietato calpestare l’erba”, chi mai si sarebbe sognato di toccare con una qualunque parte del proprio corpo quei quattro ciuffi marroni? Forse avevano ragione i suoi genitori, e lui era troppo piccolo per spingersi lontano da solo a cercare la natura. O forse non si era spinto lontano abbastanza?

Improvvisamente, gli venne un’idea! A scuola aveva imparato che spesso la natura si trovava ai limiti più esterni delle città, nelle cosiddette “cinture verdi”. Gli sarebbe bastato spingersi fino ai quartieri più lontani per trovare ciò che stava cercando! Così, senza attendere oltre, andò a cercare una fermata dove prendere il primo autobus, deciso a non scendere prima del capolinea.
Roberto aveva viaggiato per più di un’ora, ma la destinazione a cui era arrivato era ben diversa da come se l’aspettava. Al posto degli alti tronchi marroni aveva trovato vecchie ciminiere storte e sbeccate; sopra la sua testa non si trovavano centinaia di foglie verdi di forme diverse, ma solo monotone parti di tetto in decomposizione o sporche travi d’acciaio che lasciavano intravedere un cielo che andava facendosi sempre più grigio, come il suo umore.
Il ragazzo si rese conto di essere finito all’interno di una qualche fabbrica abbandonata, un posto dove era impossibile trovare quel tipo di natura lussureggiante che stava cercando. Triste e deluso per l’esito fallimentare della sua ricerca, Roberto decise di tornarsene a casa; incoraggiato anche da tuoni che, in lontananza, avvertivano dell’imminente arrivo di un violento temporale.
Ma dopo aver percorso solo pochi passi verso il cancello da cui era appena entrato, il suo udito fu colpito da un rumore insolito, come una specie di guaito, provenire da qualche parte all’interno della fabbrica. Curioso di scoprirne l’origine, e di fare qualcosa che rendesse quella giornata un po’ meno brutta, corse a cercare l’origine di quel suono.
Dopo molto girovagare per quell’edificio sconosciuto, Roberto si ritrovò davanti ad una rete di metallo oltre la quale c’era, con una delle gambe posteriori incastrata in un’apertura, un cane.

I due si osservarono brevemente. L’animale aveva un pelo straordinariamente curato, e sembrava essere fin troppo abituato alla presenza dell’umano per essere un randagio: “Che sia stato abbandonato?” pensò Roberto avvicinandosi per liberargli la zampa. Una volta riacquistata la propria libertà di movimento, l’animale schizzò via all’interno della fabbrica, lontano dallo sguardo del proprio soccorritore.
Leggermente rincuorato per avere fatto finalmente qualcosa di costruttivo, Roberto pensò che avrebbe fatto meglio a comportarsi come l’animale ed uscire da lì il prima possibile. Sarebbe bastato girarsi, camminare dritti per un po’, poi svoltare a sinistra alla colonna crollata e si sarebbe trovato subito fuori.
Oppure doveva girare a destra?
Non appena il ragazzo si rese conto d’essersi perso, avvertì una profonda sensazione di freddo partirgli dalla testa, per poi avvolgere rapidamente tutto il suo corpo. Inizialmente la etichettò come una reazione emotiva dovuta al fatto di essersi perso in un luogo sconosciuto e potenzialmente pericoloso, ma ben presto si accorse che tutto intorno a lui il terreno si stava velocemente riempiendo di piccoli cerchi di colore più scuro.

Il ragazzo corse dentro ciò che rimaneva l’edificio per cercare rifugio, ma fu tutto inutile. Il tetto era crollato praticamente ovunque, eliminando ogni possibilità di trovare un riparo dalla pioggia, che intanto si faceva sempre più forte. Disperando di trovare una qualsiasi via di fuga da quella situazione, Roberto stava per arrendersi quando, in mezzo alla fitta massa d’acqua, notò una piccola macchia scura che si dirigeva verso di lui. Inizialmente intimorito, le sue preoccupazioni svanirono quando, oramai arrivato a circa un metro di distanza, la macchia si rivelò essere il cane che aveva salvato poco fa.
I due rimasero immobili a guardarsi l’un l’altro. L’animale, in particolare, guardava Roberto come se stesse valutando se metterlo al corrente o meno di un segreto. Terminate le proprie riflessioni, il cane abbaiò, ed incominciò a correre nella direzione da cui era venuto. Roberto, temendo di rimanere solo, si mise ad inseguirlo.

Il temporale si stava scatenando in tutta la sua furia; ovunque gli elementi del paesaggio erano stati sommersi da una massa d’acqua grigia che ne aveva sfumato i contorni, rendendo pressoché impossibile per Roberto capire esattamente dove quell’animale lo stesse portando, ammesso che lo stesse portando effettivamente da qualche parte. Più passava il tempo, più il ragazzo si convinceva di essersi lasciato trascinare in un inutile gioco. Eppure, nonostante questi pensieri continuava ad inseguirlo convinto, forse inconsciamente, che fosse la cosa migliore da fare.
Roberto si rese conto di aver fatto la scelta giusta quando, quasi senza accorgersene, si ritrovò in un luogo asciutto. Davanti a lui, quelli che ad una prima occhiata erano i resti un una colonna di cemento armato, un tempo dipinta di un giallo ormai sbiadito; dietro, un muro di acqua grigia che non accennava a diminuire di intensità; sopra, ad almeno un paio di metri d’altezza, un soffitto dall’aspetto strano, la cui esatta composizione era reso ancora più misterioso dalla perenne ombra in cui era bloccato quell’angolo asciutto.
Dopo essersi asciugato il pelo con una robusta scrollata, il cane si avvicinò al ragazzo che, dopo essersi seduto a terra, incominciò ad accarezzarlo.

Dopo quella che gli era parsa un’eternità, le nuvole di pioggia si dispersero, lasciando libero il sole di tornare ad illuminare tutto coi suoi caldi raggi. Roberto approfittò di quel repentino cambio di clima per uscire dal proprio rifugio e cercare di asciugarsi un po’ i vestiti ma, non appena entrò di nuovo in contatto con l’ambiente esterno, si rese conto di una cosa spettacolare.
Il soffitto che fino a poco tempo prima non era stato in grado di identificare era in realtà la foltissima chioma di un albero, il cui tronco era cresciuto fino quasi ad inglobare la colonna di cemento sul quale era appoggiato. Inoltre tutto intorno a lui numerose piante d’edera avevano reso di un acceso colore verde le vecchie pareti della fabbrica. Scintillanti gocce di pioggia ancora riposavano sulle foglie, come tante piccolissime stelle su di un cielo color menta. Le pozzanghere poi avevano trattenuto dentro di loro tutti i colori dell’arcobaleno, riuscendo a dare vivacità addirittura alla vecchia strada in disuso. Euforico per essere finalmente riuscito a portare a termine la sua missione, Roberto si chinò di nuovo ad accarezzare il cane che ormai aveva incominciato a seguirlo: «Sei stato fantastico!» disse. «Non avrei mai trovato tutto questo se non fosse stato per te, grazie…» e qui si interruppe. Come si chiamava il suo nuovo amico sprovvisto di medaglietta? Visto che ormai sembravano destinati a stare insieme, gli sembrava giusto dargli un nome vero e proprio, ma quale? Dopo una breve riflessione, Roberto ebbe una bella idea. Le qualità che il suo nuovo amico aveva dimostrato di possedere erano state intraprendenza e conoscenza del territorio e, almeno secondo quanto scritto nel suo libro del National Geographic, quelle erano le caratteristiche che descrivevano perfettamente un preciso tipo di persona: «D’ora in poi ti chiamerai “Esploratore”, che ne dici?»
Esploratore abbaiò in segno d’assenso.

Due settimane più tardi, Roberto uscì sul balcone per controllare lo stato del piccolo germoglio che aveva piantato qualche tempo addietro. Era da un po’ che aveva iniziato anche lui, come sua mamma, a coltivare l’hobby del giardinaggio. Del resto, grazie alla sua avventura, aveva capito che la bellezza della natura poteva sbocciare ovunque, anche in una città grande ed affollata come la sua.
E poi, da quando era quasi scappato di casa, i suoi lo avevano messo in punizione, proibendogli di uscire per almeno un mese, quindi si era dovuto inventare qualcosa che gli permettesse di rimanere in contatto con la natura fino a quando lui ed Esploratore non sarebbero partiti per la loro prossima avventura.

Tricheco birbante