Archivio mensile:gennaio 2016

Generazione X

Ciao a tutti, cari amici ed amiche, e benvenuti ancora una volta sulla nostra rubrica di “Generazione X”.
Buttando l’occhio fuori dalle finestre delle nostre case non viene difficile riconoscere nel paesaggio intorno a noi i tipici elementi della stagione invernale: cielo plumbeo e carico di nuvole, alberi spogli con nodosi rami a vista, che diventano braccia di spettri quando immersi nella fitta nebbia della sera.
Mentre la natura si spoglia dei suoi colori per prendersi un meritato momento di riposo, l’uomo estrae invece luci e festoni, ed inizia con esse ad addobbare le proprie case e le proprie città.
Siamo finalmente entrati in quel periodo in cui lampadine di mille colori illuminano i balconi dei privati e le vie dei centri, e dovunque le vetrine dei negozi si riempiono di fiocchi e cappelli rossi col pon-pon.
Le scuole e le chiese iniziano invece ad allestire pubblicamente i loro presepi, perché non bisogna mai scordarsi, nonostante le mille tentazioni commerciali della stagione, che la festa in arrivo, quella del Natale, esiste per commemorare la nascita di Gesù Cristo.
Eppure, ogni anno, non solo la commercializzazione ma anche alcuni individui provano, e a volte riescono, a togliere quest’ultimo significato alla festa. Proponendo che si eviti di allestire i presepi, che si evitino canzoni natalizie a tema religioso, arrivando anche a modificare il proprio linguaggio, optando per un più generico “buone feste” rispetto al più tradizionale “buon Natale”.
La ragione che spinge certe persone a fare queste proposte è l’idea che, in questo modo, si porterà maggiore rispetto a tutti gli abitanti non cristiani del paese. Si eviterebbe, insomma, di obbligarli ad immergersi in una tradizione non loro.
Eppure, questo non mi sembra il modo migliore per confrontarsi.
Se davvero rispettassimo queste persone, non ci vergogneremmo di mostrare loro un pezzo della nostra tradizione, del nostro retaggio, della nostra cultura.
A che scopo erigere intorno ad esse un muro di “politicamente corretto” oltre al quale nessuno riesce più a vedere nulla, se non i festoni della commercializzazione che gli sono stati appiccicati sopra?
Piuttosto, meglio un ponte, un ponte fatto non di fango umido ed informe, ma da grossi tronchi d’albero, alberi che hanno avuto la loro storia e le loro radici, magari piantate nei lati opposti del fiume che questo ponte collega.
Perché è questo che fa un ponte, non solo unisce, che già di per sé è un’ottima cosa, ma unisce due realtà diverse, due sponde di un fiume, due lati di un fossato, talvolta addirittura due nazioni diverse.
La stessa cosa dovremmo fare noi, renderci ponti umani pronti a condividere ciò che ci costituisce, cultura compresa, con chiunque sia interessato. In particolare durante questa stagione di festa, dove l’unica cosa che ci viene chiesta, in realtà, è di volere bene ed accettare il prossimo.
Così come Maria, quella notte di più di duemila anni fa, accettò di portare al mondo il salvatore.
Auguri di buon Natale a tutti!
Tricheco Birbante

Jamboree 2015

logo Caro lettore, stavolta voglio parlarti del viaggio in Giappone che ho fatto quest’esta  te… Ovviamente tu ti starai chiedendo: “Perché costui vuole parlarmi del suo viaggio in Giappone, ma soprattutto cosa c’entrerà mai con gli scout un posto così lontano?!”
Beh ti posso dire che c’entra… eccome se c’entra!
Questo viaggio mi ha portato a conoscere un sacco di scout provenienti da tutto il mondo, e le loro storie.
La destinazione finale del mio viaggio è stata Kirarama nella prefettura di Yamaguchi al 23° World Scout Jamboree.
jamboree2015 Prima di partire però ho dovuto partecipare a due campetti che servivano ad illustrarmi la cultura del paese ospitante (il Giappone, appunto) e su come comportarmi ad un evento così importante.
Non voglio però dilungarmi troppo sull’aspetto pre-Jamboree, ma voglio illustrarti le tappe del mio viaggio e che cosa ho fatto al 23 WSJ.

Partenza ore 14:00 del 22/07/2015
Luogo: Milano Malpensa
Da qui parte la mia fantastica avventura che mi porterà in Giappone passando per Doha in Qatar, il volo è durato un sacco… circa 21 ore di viaggio, però dopo qualche film e qualche partita ai videogiochi sono finalmente arrivato in Giappone, più precisamente a Osaka all’aeroporto del Kansai.
Da lì io e gli altri ragazzi arrivati lì per il Jamboree ci siamo spostati in treno, direzione Kyoto, tappa intermedia del nostro viaggio.

jamboree_flags24/07/2015
Luogo: Kyoto
Qui ci siamo fermati per tre giorni per fare in modo che noi IST (International Service Team) potessimo incontrare l’affascinante cultura giapponese… Qui secondo me la parola “WA” (tema del Jamboree) che significa armonia, viene molto rappresentata da questa città dove tecnologia e passato si sposano.
Basti pensare che Kyoto è la città dove ha sede la Nintendo, ed è allo stesso tempo la Firenze del Giappone grazie al fatto di essere stata la sede del palazzo imperiale. Trascorsi questi tre giorni all’insegna della scoperta di una cultura completamente diversa il viaggio riparte e questa volta durerà 18 ore estenuanti di autobus: destinazione finale Kirarama.

26/07/2015
Luogo: Kirarama, prefettura di YamaguchiItalianContingent
Eccoci qua finalmente al Jamboree. Dopo esserci registrati come IST abbiamo iniziato due giorni di training che ci avrebbero permesso di svolgere le attività assegnateci prima di partire dalla staff giapponese. Nel mio caso ero stato assegnato al “safety department” che si occupava di far mantenere l’ordine e la calma all’interno del Jamboree: una sorta di vedetta che segnalava i problemi via radio.
Ovviamente facendo questo servizio mi sono anche cuccato i turni di notte, all’inizio non così drammatici, ma verso la fine sono diventati sempre di più un macigno sulla testa perché il turno durava la bellezza di sei ore, e la zona che ci davano da sorvegliare era un sotto campo intero da tenere sotto controllo girandoci dentro per almeno una decina di volte in tutto il turno… Per fortuna però l’ho passato in compagnia, svolgendo il servizio all’interno di una squadra composta da tre svedesi, un inglese e un italiano, collega di turno nonché mio compagno di tenda.
Grazie a loro i turni sono volati in un baleno. Oltre a questo al Jam quando non avevo turni ero solito visitare i vari stand delle nazioni dove ti venivano spiegate la loro cultura, religione ed innovazioni o conoscere persone e le loro storie di vita scout. Capitava anche che mi dedicassi allo swap, cosa molto importante al Jam.
Esso consiste nello scambio di patacchini, fazzolettoni o uniformi. L’aspetto più interessante di questa attività è che dietro ad ogni oggetto scambiato c’è una storia da raccontare.
I giorni passati al campo volavano e piano piano si avvicinava la data della partenza per ritornare a casa, però ad essere sincero sono ripartito da Kirarama con uno spirito diverso, con qualcosa in più che prima non avevo. È difficile da spiegare, è come un’energia che ti hanno donato le persone incontrate lungo il cammino, raccontandoti la loro esperienza scout e di tutti i giorni.

09/08/2015
jambo-siteLuogo: Aeroporto di Fukuoka
Il viaggio sembra ormai finito, invece mi aspettano la bellezza di 31 ore di volo e toccherò non una bensì due città dove farò scalo: la prima sarà Tokio e la seconda Doha per poi atterrare finalmente a Milano Malpensa dove lì mi aspettano i miei familiari e i miei amici.

Per concludere, il Jamboree è stata un’esperienza che mai dimenticherò e che consiglio vivamente; è vero, non l’ho vissuto da partecipante, come IST la differenza è molto ampia, però onestamente è stato come se fossi un partecipante… La cosa che mi ha fatto riflettere molto e che mi ha entusiasmato di più è vedere, anzi dimostrare, che vivere a contatto con altre culture in armonia per due settimane è POSSIBILE.

Matteo Squizzato (Mastino Grintoso)

Sono Musulmana e porto il velo…

Cari amici, il numero di questo mese è dedicato ad un tema particolare: il “fare ponti”, come ci dice Papa Francesco, una cosa che noi scout sappiamo (e dobbiamo saper fare) bene!
Mi vengono in mente le parole di Greg Monterson, alpinista, scrittore di “Tre tazze di te” e “La bambina che scriveva sulla sabbia”, e costruttore di scuole “negli ultimi posti al mondo”, che racconta di quando la sua associazione, il Central Asia Institute, costruì la sua prima scuola alle pendici del K2: in pratica, dopo tanto pianificare per costruire la scuola, ci si rese conto che non sarebbe stato possibile fare nulla senza prima costruire un ponte che portasse la strada, e quindi i mattoni e tutto il necessario, fino allo sperduto villaggio. “Da quel giorno – dice Greg – ogni volta che abbiamo costruito una scuola abbiamo dovuto, prima, costruire un ponte. Non un ponte fisico, ma un ponte di relazioni
Ecco, noi scout siamo (e dobbiamo essere) bravi a fare entrambi ma, questa volta, vorrei raccontarvi un esempio di come si possa “costruire un ponte” in men che non si dica, anche mentre si aspetta l’autobus…

Salma ha 21 anni e studia giurisprudenza all’università. Da mesi percorre la stessa strada per prendere il pullman e, ogni mattina, incrocia un signore di mezza età che la guarda dall’alto in basso, sbuffa, borbotta qualche frase razzista e prosegue. Salma sarebbe anche capace, con il suo caratterino, di rispondere in modo poco educato facendosi anche un paio di risate, ma si trattiene fino all’ultimo.
Arriva poi, inattesa e mai voluta, la strage di Parigi. La reazione dell’anziano signore è da quel giorno ancora peggiore: ogni volta che vede Salma alla fermata, scappa! Il primo giorno, anche Salma è spaventata, il secondo, rimane allibita dal suo comportamento, il terzo giorno, ride!
Al quarto giorno, decide di fermarlo e chiacchierarci nel modo più educato che esista: “Senta, stia ad ascoltarmi, una volta che avrò finito, scapperò io! Io sono musulmana, glielo dico perché ritengo che sia giusto darle delle spiegazioni. Dunque, sono Musulmana, con la M maiuscola (in fondo è una fede come le altre e va rispettata) porto il velo e sotto di esso ho dei capelli, ben lavati con uno shampoo italiano, a base di keratina. La mattina ho il piacere di incontrarla perché frequento l’Università di Milano e capirà anche che anche se sono un’immigrata pago le tasse, anzi non sono io a pagarle ma mio padre, un uomo che lavora duro, è un operaio e trascorre più ore al lavoro che con noi…
E quindi? – risponde duro il vecchietto – Che c’entra? Stai solo perdendo tempo: voi” musulmani “siete dei terroristi senza cuore!
Aaaalt – riprende, ferma, Salma – non ho ancora finito! Come musulmana non mi dissocio da nulla, significherebbe distaccarsi da un’idea alla quale avevo precedentemente aderito. Non giustifico la mia religione, perché, come lei saprà, tutte le fedi diffondono amore, fratellanza, giustizia e equità! L’Islam vieta il crimine, chi uccide un solo uomo è come se avesse ucciso l’umanità intera.”
C’è un attimo di pausa, forse solo un prender fiato o forse il cenno di un primo collegamento…
Una domanda – continua lei con un sorriso – sa fare qualche conto in matematica? Io non sono bravissima ma ci vuole poco per dire che 1+1=2.
Certo che so contare – risponde ancora, offeso, il passante – che credi? che io sia analfabeta, per chi mi ha preso?
No, ma si figuri, tutti – precisa Salma - siamo ignoranti su qualcosa: a scuola o nella vita ignoriamo sempre qualche materia o situazione mondiale e, quando qualcuno ne parla con noi, non riusciamo a rispondere a tale argomento. Questo significa ignorante: che non sa qualcosa!
Ma tornando al discorso di prima: Musulmano = Terrorismo, giusto?
La risposta è un “sì” secco: “c’è poco da spiegare qui!
Ma Salma non si arrende: “Certo, come si chiama lei e che lavoro fa?
“M… e faccio lo spazzino!
Ok, ma allora se ragioniamo come prima potremmo dire: italiano= mafioso, M… = spazzino. suona bene?
Qualcosa si muove…
Certo che no! Smettila di usare certe metafore! noi non siamo tutti mafiosi e io non mi chiamo spazzino
Ecco, le ha dato fastidio vero? Beh è esattamente la stessa cosa che provo io ogni volta che lei sbuffa, borbotta o scappa; anzi mi spaventa.
La voce della ragazza col velo è calma, ma decisa: “Ha dimenticato le stragi della prima e seconda guerra mondiale? E quello che sta succedendo in Siria, Iraq, Palestina… la lista è lunga non sto qui ad elencarle. Quello si chiama terrorismo, esso non ha etichette religiose, culturali. Ha solo un nome: disumanità.
La disumanità è un terrorismo a cui piace la moda: una volta si veste all’americana, una alla musulmana… sono sicura che un giorno andrà in giro anche in “minigonna e top”… Ci lascerà a bocca aperta e ci spappolerà il cuore, vedrà!
Ultimamente la disumanità, ha deciso di mettere la tunica e far crescere un po’ di barba. Prima o poi passerà anche questa moda. Persino il silenzio è una forma di terrorismo: abbiamo calpestato la nostra dignità, spazzato la misericordia, oppresso la coscienza e ucciso l’umanità.
È stata dura, ma la lotta contro il fiume è stata vinta e sono state gettate le fondamenta di un nuovo ponte, di un nuovo legame…
Beh, signorina – la voce dell’anziano signore ora è diversa, quasi dolce – non so che dire. mi ha lasciato senza parole… ha ragione dobbiamo imparare a informarci un po’ di più, prima di aprir bocca… mi perd…
Lo sa che adoro il caffè?”, dice Salma ancora prima che l’altro possa finire di scusarsi, perché ormai il ponte sembra saldo e bisogna solo provare ad attraversarlo…
Il bar è qui davanti a noi. Questo significa che accetta le mie scuse?
Per un buon caffè farei di tutto – ammette la nostra amica - domani mattina scapperà ancora quando mi vedrà? Perché mi divertiva vedere la sua faccia terrorizzata!
Il signore, con un sorrisone stampato in faccia, risponde: “Lei è riuscita a cambiare la mia prospettiva, io le strapperò un sorriso per il resto della settimana…

Enrico Gussoni

Anno da Cocci

07Il vocabolario italiano definisce la parola servizio come: rapporto di soggezione o sudditanza; nell’uso moderno questo sopravvive e in casi di dedizione, impegno incondizionato nei confronti di un ideale, una fede, una comunità di persone; invece lo scout definisce la parola servizio come un’esperienza con la quale donarsi gratuitamente agli altri, ed è solo questo che inizialmente ci ha fatto accettare il nostro servizio di quest’anno, il fatto che noi siamo qui pronti a donare il nostro tempo per gli altri; nulla di più.
Perché tutto questo sconforto vi chiederete voi, beh semplice, noi siamo stati scelti, a inizio anno, per fare servizio nelle coccinelle ed inizialmente non sapevamo minimamente cosa volesse realmente dire fare servizio in un cerchio. Ma partiamo dal principio.
La notizia ci fu comunicata un lontano venerdì sera di ormai 2 mesi e mezzo fa, quando i capi associavano ogni unità a rover e scolte. Quando sentimmo che la parola Coccinelle fu seguita dai nostri nomi ci guardammo l’un l’altro con espressioni stupite pensando all’unisono: “Ma come?! Io nelle coccinelle?! In mezzo a tutte quelle bambine?! No Maria io esco!” il terrore ci aveva inondato il cuore.come avrebbero fatto Puglia e Peru senza giocare almeno un po’ a calcio? e Asia e Chiara come avrebbero fatto a resistere ad un’orda di bambine pronte ad amarle fino alla follia? Nessuno di noi avrebbe potuto resistere un secondo.

Le prime attività ovviamente non furono facili, riuscire a creare un rapporto con le cocci non era semplice, anche se qualcosa dentro di noi ci spingeva a volerlo fare: era la curiosità, la curiosità di conoscere un mondo a cui nessuno di noi in realtà si era mai approcciato e la curiosità di sapere quello che le bambine ci avrebbero dato e quello che noi avremmo potuto dare loro. Con il passare delle attività diventa sempre più naturale riuscire a creare un rapporto con ogni coccinella, il cerchio ci ha accolto e ci tratta come se fossimo in una grande famiglia, e dall’altro lato noi accogliamo sempre di più l’idea che probabilmente avevamo torto e che il nostro servizio è una bomba.

Insomma all’inizio eravamo forse un po’ timorosi, ma con il passare del tempo la gioia e la grinta del cerchio, la grandiosa staff in cui siamo capitati ed ogni singola coccinella ci hanno fatto capire che i nostri pregiudizi erano del tutto sbagliati e siamo certi che ci faranno passare al meglio il nostro Anno da Cocci!

Alessandro (Grillo Cangiante)
Chiara (Lince Delicata)
Asia (Scoiattolo Pimpante)
Matteo (Koala Compagnone)

 

Belli o brutti gli scout prendono tutti

Tra gli scout non c’è competizione, rivalità… NOI NON DISCRIMINIAMO NESSUNO come invece a volte capita in una squadra o gruppo sportivo.
Nel branco Tiko, abbiamo dei bambini con dei problemi ma nessuno li prende in giro, anzi, li aiutiamo, gli stiamo vicino e da quando sono diventati degli scout si sentono più sicuri, infatti sono e vogliono essere trattati come tutti gli altri.
I capi fanno tanto ma quando non ce la fanno più entriamo in gioco noi: da quest’anno sono in C. d. A. e anche capo sestiglia, ora devo controllarla e far sì che i miei sestiglieri accolgano tutti, ragazzi di varie culture, religioni, con vari problemi, simpatici e antipatici…
Quando sono arrivato nel branco Tikonderoga, ero un po spaesato, ma i lupetti e i capi mi hanno fatto sentire a mio agio da subito e mi sono sentito a casa
È un’esperienza che consiglio a tutti… infatti belli o brutti gli scout li beccano tutti…!

Talpa gioiosa (Christian Pastori)

Noi scout costruiamo “ponti” in un mondo di “muri”

Quando si è scout, spesso e volentieri, non ci si accorge delle differenze tra di noi: c’è chi ha origini Russe, chi Sud-Americane… e anche chi segue la propria fede.
Mentre scrivevo queste parole mi sono venuti in mente gli ultimi avvenimenti accaduti in Francia. Penso, che con i nostri insegnamenti scout e con i nostri occhi un po’ più innocenti, molti “muri” potrebbero essere abbattuti e molti “ponti” costruiti… perché i MURI dividono, ma i PONTI uniscono.
Nella mia esperienza scout ho conosciuto persone molto diverse ed alcune, sicuramente, meno fortunate di me. Ma, con il nostro “stare insieme” e condividere le nostre esperienze ci si ritrova tutti allo stesso “piano”.
Io sono molto contenta che nel mio branco ci siano persone differenti…
PER QUESTO NON LO POSSO CONSIDERARE UN BRANCO NOIOSO!

Rondine Tenera (Sofia Pendin)