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Una buona notizia

Co.Ca

Quella che smentisce chi non crede più nei giovani e nelle loro capacità.
Quella che più che mai invita a riflettere chi considera gli scout invasati vestiti da bambini.
È la Partenza.
Se è vero che il rover e la scolta sono educati alle scelte, e la partenza è una di queste, perché considerarla una buona notizia e non una delle sue tante occasioni di scegliere?
Mi sono risposto che sono tre i buoni motivi per farlo.
Primo: è un modo per annunciare la Buona Notizia, quella vera che è Cristo. Non ho mai avuto grossi problemi con la fede. Ciò che però emergeva nel corso del cammino di partenza era che credere è l’obiettivo, ma una volta raggiunto occorre scegliere di essere testimoni. Quale modo migliore che non incominciare con il dire di voler esserlo? Il credente non è chiamato a evangelizzare con le parole ma con le opere, motivo per cui ho scelto di credere e di testimoniarlo.
Secondo: ti obbliga alla sintesi. Chi mi conosce sa bene che non è un qualcosa che esattamente mi appartenga. Con la Partenza però ho imparato a fare ordine e a pormi nel modo giusto verso il mondo. Riconoscevo infatti che il fine del percorso scout è di educare ad essere buoni cittadini, ma mi risultava complicato declinare concretamente l’esigenza di “lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato”, perché essere un buon cittadino passa ugualmente dal raccogliere le cartacce al chiedere la fattura. La suddetta sintesi forse è arrivata anche dai miei studi giuridici: mi sono posto l’obiettivo di rispettare le persone e le regole; una scelta che pare banale ma che ti invita a leggere continuamente i tuoi valori (ci tengo all’ambiente, sono onesto…) nell’ottica di ciò che è bene per la tua comunità, sia essa il paese dove vivi o il mondo.
Terzo: è una scommessa vinta sulla libertà. È un giudizio sicuramente indotto dal mio essere diventato capo, ma adoro lo scautismo perché ti lascia libero davanti alle scelte: decidi tu se essere leale in un gioco o se impegnarti a servire il prossimo. Nei panni dei miei capi clan sarei stato ben felice di avere un rover che sceglie di partire, perché quella scommessa sulla sua libertà l’ho vinta.
Di certo da cittadino, da credente e da capo -ma potrei aggiungere anche da genitore, anche se non mi riguarda- un giovane che sceglie non è qualcosa che mi lascia indifferente.
Guardando al Natale mi viene in mente questo paragone, che lascio come augurio: come ci facciamo interrogare da Gesù che è venuto nell’indifferenza per annunciare la Buona Novella, così dobbiamo essere capaci di cogliere il bene che i giovani, nel 2019, sanno ancora fare.
Dromedario

Una storia da ascoltare… un capo branco di valore

Con il finire dell’estate calda, mi aggrego ai frati, per andare ad Assisi. Di Francesco non c’è traccia, forse è a Perugia. La città è diversa, sembra più tranquilla di un tempo. Ci sono dei cantieri aperti, con case in costruzione. Le strade di ciottoli però, ospitano sempre i bambini che corrono vocianti nei loro giochi. Nessuno bada a me, nessuno mi insulta e nessun sasso viene lanciato.
Ai bordi delle strade i mendicanti sono seduti con la loro ciotola in mano; è mattina e qualcuno si inchina a fare l’elemosina, senza nascondersi. Cosa ha causato questo cambiamento?
Da lontano vedo una coppia di frati nel saio color terra, con le braccia cariche di sacchi e coperte. Stanno scendendo per la strada che porta al lebbrosario. Dal colle dove si trova la città, si vede la piana sottostante, illuminata dal sole, come un grande quadro. Guardo le pendici della città, i palazzi dei nobili in alto, le baracche degli ultimi in basso. Tra questi due livelli, un’incessante attività di carità che avvicina queste realtà distanti, facendo in modo che entrambe trovino giovamento: gli uni allo spirito, nel donare, gli altri al corpo, nel ricevere. Quello che stupisce è vedere come la malattia possa cambiare una persona. Ricordo che tempo fa, ho conosciuto un tale che, da sano, sfuggiva noi ultimi, ma che una volta colpito leggermente dalle piaghe, ha cambiato totalmente modo di vita. Aveva, se non ricordo male, una bottega dove rilegava i libri, cuciva i fogli e le copertine, riparava vecchi tomi che provenivano anche da biblioteche lontane. L’ho visto io stesso, sottrarre tempo alla bottega, per venire qui a dare una mano. Chissà che fine avrà fatto!
Le condizioni del lebbrosario erano leggermente migliorate, non c’erano più capanne fatiscenti di stracci e paglia, ma piccole baracche di legno costruite dai frati che accudivano i malati. L’olezzo era lo stesso, ma all’occhio mi balzò subito la maggiore presenza di gente comune. Gente del paese che portava vestiti puliti, bruciava le bende sporche, portava acqua e pane. Passo lentamente nel piccolo villaggio dove la tolleranza è la massima espressione di solidarietà. Qui non ci si viene per caso, se sei malato lo cerchi per trovare sollievo e se non lo sei, lo cerchi per dare conforto. Nei giorni seguenti gironzolavo tra le piane: a mezzo colle c’è un luogo dove alcuni frati si ritirano in preghiera, anche Francesco.
Tra il bosco di lecci e querce, ci sono delle grotte che ospitano i frati, sulla nuda terra. L’eremo delle carceri, come viene chiamato, dista da Assisi, pochi chilometri, su un sentiero immerso nel verde. Incamminarsi per quella strada avvolta nella quiete, interrotta solo dal canto degli uccelli, mi dice che l’impronta della Sua mano, è presente ovunque. Ogni tanto si incontrano frati che cantando, scendono o salgono, salutando chiunque incontrino, gioiosamente. Fu uno di questi, fermo a prendere fiato, che mi raccontò di Francesco.
Da tempo la sua salute è peggiorata, anche se lui continua a dire di stare bene e di non preoccuparsi. Da tempo si è messo da parte, è sempre lui il riferimento per la marea di fratelli sparsi nel mondo, ma non è più lui a capo del movimento dei frati. Lo ha riferito in una riunione, quella che chiamano il capitolo, davanti ai suoi compagni.
Per la piana ed in città, era un via vai di gente vestita come lui. Ricordo di essermi seduto fuori dalla porta a guardare la gente che passava, come facevo da un po’, da che le gambe fanno fatica a reggermi e la schiena scricchiola. Un vecchio prete, che conosco da tempo, da quando giravo ad aggiustare sedie e tavolini per vivere, si ferma e parliamo. Anche lui ha sentito di Francesco. Sa che non sta bene. Chissà come, quando si tira in ballo Francesco, qualche aneddoto viene rispolverato: tempo fa ero a Gubbio, un paese più a nord di Assisi. Sapevo che in quel periodo c’era il pericolo di imbattersi in branchi di lupi affamati. Avevano già decimato polli e pecore dei villaggi più isolati e a volte, purtroppo qualche pastore sprovveduto, ci ha lasciato la pelle. La notizia dilagava tra i pastori e tra la gente dei borghi lontani dalla città.
Francesco era di ritorno da non so quale strada, fatto sta che, trovandosi a Gubbio, venne informato dei lupi. Un giorno gli ululati si fecero così vicino alla città, che la gente spaventata si ritirava nelle case. Il paese era deserto, si sentivano in lontananza i guaiti inquietanti di quegli animali. Ma quello che mi sconvolse fu la serenità di Francesco, quando chiese al curato di dargli da mangiare per quelle povere creature affamate. Il povero prete non seppe cosa dire e di tutta risposta diede a Francesco del pane, un pezzo di salame e una gallina appena spennata. Sarebbe stato il suo sostentamento per una settimana, ma aveva imparato, come tutti, a non fare domande a quell’uomo di Dio.
Solo, nel paese deserto, con il suo fagotto di cibo, Francesco si incamminava per le vie, seguendo quei “guaiti” lontani. Le notizie volano come il vento e lungo la strada qualcuno dona a Francesco altro cibo per i lupi. La fiducia in quell’uomo è immensa. Dietro di lui, a distanza di sicurezza, si va formando una piccola processione di uomini e donne in preghiera. Lo so perché ero io a recitare il Padre nostro a mezza voce, poi seguito da tutti gli altri. Timore e speranza di vedere qualcosa di insolito, da poter raccontare.
Nel Vangelo si legge “Andrete come agnelli in mezzo ai lupi” Era quello che stava facendo un uomo solo. Fuori dal paese, dopo le ultime case, ci siamo fermati, colpevoli di vigliaccheria, e lui, solo, camminava verso i lupi. Fuori dal bosco Francesco si inginocchia, non butta il cibo lontano, ma lo tiene vicino a sé. Le sue braccia alzate invitano i lupi a venire da lui. E qui avvenne tutto. Dai cespugli qualcosa si muoveva, respiri affannati di bestie che si avvicinavano ed annusavano l’aria carica di odori di cibo. Un solo lupo, forse il capo branco, si stava dirigendo verso il cibo e verso Francesco. Fra le ombre della macchia del bosco, gli occhi affamati del branco. Di solito il capo branco, per manifestare il suo valore, tiene la coda ritta, ma, a tre metri da Francesco, la sua testa era china come la coda. Francesco lo chiama e questo avanza fino a farsi accarezzare. Francesco gli parla e il lupo si lascia toccare, leccando le mani dell’uomo di Dio. Ci fu un attimo di sgomento quando il lupo appoggiò le zampe anteriori alla spalla di Francesco, toccando con la sua, la testa di Francesco. Lui abbracciò il corpo del lupo e poi lo fece scivolare a terra. Mentre si alzava, il lupo rimase a guardarlo negli occhi. Francesco sorrise, un’ultima carezza tra le orecchie e sotto il mento, poi si voltò per tornare sulla sua strada, lasciandosi alle spalle due occhi amici. Francesco vicino a tutti noi, si voltò e salutò tutti i lupi usciti dal bosco, vicino al loro capo: “La pace sia con voi, fratelli lupi!”.
A quel punto tutti i lupi presero il cibo per portarlo via nel bosco, dove tornavano, tranne uno. I suoi occhi guardavano solo Francesco e lui lo benedì con un grande segno di croce. La belva emise tre ululati e andò verso il bosco, non prima di dare un ultimo sguardo a Francesco, muovendo leggermente la coda. Poi sparì. Da quel giorno i lupi non si fecero più vedere nei pressi della città e dei villaggi vicini. Li si poteva sentire nei boschi; ogni tanto qualcuno lasciava tra gli alberi, galline spennate o ossa di maiale con un poco di polpa, a ringraziamento per quel “patto” fatto da Francesco.
Il prete si ferma di raccontare: sembra una favola, ma so che questo è tutto vero e da aggiungere ad altri fatti di ordinaria originalità, dei quali la strada di Francesco è colma.
Affascinata e piena di gioia, con gratitudine ringrazio l’autore di questi racconti, Fabio Bergamaschi.
Alla prossima lettura!
tr

Comprendere e giustificare

Di recente la discussione dentro e fuori l’AGESCI si è animata per la presa di posizione dell’associazione (o di sue componenti regionali e locali) rispetto al Decreto Sicurezza varato dall’attuale governo. Da chi si è dichiarato solo preoccupato (come la FIS, la Federazione Italiana dello Scoutismo) a chi sembra aver appoggiato atti di “disobbedienza civile” come nel caso di AGESCI Sicilia. Il guazzabuglio di commenti è stato variopinto, poco costruttivo e in realtà breve come quasi tutto ciò che succede sui social. Da un lato c’era chi rinfacciava a noi scout di preoccuparci per gli immigrati e non per “i terremotati” e gli altri italiani che soffrono, quando noi sappiamo benissimo di essere i primi a correre a prestare servizio ovunque la terra tremi o i ponti crollino come nelle periferie e nei quartieri “di frontiera”, mentre chi critica non si è ancora mosso dalla sedia. Dall’altro molti hanno festeggiato il fatto che l’associazione, gravata dal peso di circa 180.000 soci con pensieri e idee comuni per quanto è possibile, ma comunque distinti, abbia compiuto un atto rarissimo: prendere posizione riguardo a qualcosa. Qualcuno avrà contrapposto l’AGESCI “del dire” con quella “del fare” e qualcun altro avrà inneggiato al “fedeli e ribelli!” delle Aquile Randagie. Dopotutto restiamo un’associazione che fa dell’antifascismo un cardine del proprio statuto e dell’aiuto al prossimo lo scopo della propria esistenza, quindi da buone sentinelle e uomini dei boschi restiamo giustamente all’erta ad ogni avvisaglia di libertà violate.

Il punto che vorrei toccare, però, rimane ciò che veramente era scritto in quel comunicato dell’AGESCI Sicilia così foriero di triboli: < [AGESCI Sicilia] comprende le iniziative di “disobbedienza civile” nei confronti di leggi palesemente in contrasto con i principi etici di accoglienza e rispetto… >
La coscienza di un qualsiasi scout dovrebbe essere scossa dal leggere “iniziative di disobbedienza nei confronti di leggi”, poiché la legalità e il rispetto delle regole comuni sono l’asse di colmo della tenda dello scoutismo. Eppure, io approvo e apprezzo quanto scritto in quel comunicato per l’uso della parola “comprende”. Si può comprendere un reato? Oppure un crimine?
Io penso che non solo si possa ma sia un preciso dovere civico, sociale e umano comprendere anche l’azione che non condividiamo. Infatti, comprendere e giustificare sono due cose diverse: non possiamo giustificare senza comprendere, ma non sempre dobbiamo giustificare ciò che comprendiamo. È fondamentale, per essere cittadini attivi, scout attenti e persone giuste, cercare di comprendere cosa porta le persone ad agire in un certo modo. Solo capendo le cause si possono risolvere gli effetti. Quindi, da buoni esploratori e guide, branco in caccia, uomini e donne della Partenza, chiediamoci perché qualcuno voglia disubbidire, ma anche perché qualcuno abbia odio del diverso, paura dello straniero, astio verso chi sta peggio di lui e mille altre domande che possono affliggere le nostre sensibilità e richieste.
Comprendere e basta non risolverà i problemi. Ma è molto difficile risolvere un problema senza averlo compreso e, in particolare, è impossibile risolverlo a lungo termine.
E.G. Geco Coinvolgente

Viva la libertà, viva!

“Preziosa e fragile, instabile e precaria, chiara e magnetica, leggera come l’aria, allenami, insegnami a vivere con te!”
…Buon vecchio Giovanotti… sentivo la sua canzone e queste parole mi hanno ricordato le parole di una lupetta di nove anni.
Respirare la gioia della libertà e accettare e vivere il coraggio di perseguire obbiettivi per il bene comune. Fantastico cara lupetta!
“Viva la libertà, viva! Parola magica, mettila in pratica, senti che bella è, quant’è difficile. E non si ferma mai, non si riposa mai. Ha cicatrici qua, ferite aperte là, ma se ti tocca lei, ti guarirà”
B.P. diceva: “Il vero modo di essere felici è quello di procurare la felicità agli altri”. E aggiungeva: “Desideriamo far andare avanti i nostri ragazzi con una gioiosa autoeducazione che venga da dentro e non con l’imposizione di una istruzione formale dal di fuori”.
Ecco cara lupetta, tu me lo hai insegnato. Il bene e la gioia sono dentro di noi. Insieme cresciamo nel bene. B.P. diceva che non si ottiene disciplina punendo un ragazzo per una cattiva abitudine, ma sostituendo quest’ultima con un’occupazione migliore, che assorba la sua attenzione e gradualmente lo conduca a dimenticare e abbandonare la precedente. “ Però nulla è facile! Ecco perché i capi, soprattutto all’inizio di un anno scout, chiedono a Dio il coraggio nel perseverare il bene. E… ci si prova! Sempre!
“Le donne e gli uomini, gli esseri viventi, piante selvatiche e tutti gli animali, spiriti liberi fatevi vivi! Tempi difficili, a volte tragici, bisogna crederci e non arrendersi. Viva la libertà, viva! ”
E B.P. aggiungeva: “Vi sono opinioni diverse su ciò che costituisce il successo. Denaro, posizione sociale, potere, risultati raggiunti, onorificenze e così via. Ma non tutte queste cose sono alla portata di ciascuno, né arrecano ciò che è il vero successo, cioè la felicità”.
…Ed ecco che il cerchio si chiude, cari Giovanotti e mia lupetta.
“ Viva la libertà, viva. Con gioia, per la felicità!
Grazie!

t. r.

Che bello stare al Busto 3

Cari amici,

Io vorrei ringraziare tutti voi perché mi avete accolto e perché mi avete permesso di fare una lunga strada insieme.
I miei genitori mi hanno portato agli scout di Busto da Tradate e non conoscevo nessuno.
Prima sono stato accolto dal reparto e poi pian piano mi sono trovato nel clan.
Non è stato facile capire perché mi trovavo lì e tante volte ho fatto fatica a seguire, a camminare, a giocare e a fare le attività.
Però che bello quando ci riuscivo ed ero uguale a tutti voi.
Grazie perché mi avete sempre trattato come uno uguale agli altri e non speciale.
Anche quando mi sgridavate.
Poi mi sono accorto che con voi non solo stavo bene, ma che mi avete aiutato a diventare grande.
E con voi ho fatto la mia prima scelta da solo.
Quando ho scritto la lettera che volevo fare la partenza non l’ho detto alla mamma.
L’ho scelto io perché ho pensato che mi sarebbe piaciuto tanto continuare a stare con voi.
Io sono un ragazzo down e frequento un’associazione dove mi insegnano a vivere in questa società con le sue regole e le sue consuetudini.
Molto spesso mi sono accorto che le cose che faccio in associazione le avevo già viste con voi.

Ma la cosa più importante che sto imparando è che anche noi persone disabili dobbiamo impegnarci per insegnare alla società l’accoglienza del diverso, del più debole o di tutti coloro che hanno difficoltà.

Io so che sono stato aiutato tanto e vorrei quindi aiutare tutti coloro che hanno bisogno e, attraverso i miei gesti, testimoniare l’importanza di costruire un mondo accogliente.

Per questo mi piacerebbe dedicarmi al servizio con i piccoli.
Quando riesco ad aiutarli e fargli capire che è bello avere degli amici e stare insieme, mi sembra di dire il bello che ho provato io.
A volte quando sono a Messa mi sembra che questi pensieri nascano dal sentire le parole di Gesù che mi dice di aiutare gli altri.

Ecco questo è quello che volevo dirvi.Un grande grazie a tutti voi, buona strada
Eugenio

I miei traguardi in noviziato

Nel momento in cui ho fatto i passaggi sul ponte, in cui me ne andavo via dal mio reparto Orione, con loro ho concluso un pezzo di strada. Salendo sul ponte dei passaggi mi è venuto da piangere.
Ho fatto il segno della Promessa, che ho promesso a Dio, e ho salutato il mio ex-reparto. Sono scesa dal ponte e ho fatto l’ingresso in noviziato in cui iniziava la mia nuova avventura con i nuovi capi e amici. Nuove amicizie e nuove attività.
Il momento in cui ho fatto servizio nei mitici Tiko.

Carissimi Tikonderoga,
se sono qui a scrivere questo per voi è perché sento mancanza dei miei adorabili bambini che mi vogliono bene con tutto il loro amore.
Vi dico grazie di quello che avete fatto per me ma posso dire che mi mancate moltissimo. Siete i miei cuccioli e io sono la vostra Mamma Rasha. Siete la cosa più bella che ho. Veramente.

I passaggi nei mitici Tiko
Quando ho fatto i passaggi su quel ponte ho concluso il mio servizio nei miei Tiko. Mi è venuto da piangere quando ho fatto il segno del saluto al branco. Mi sono sentita l’angoscia di tornare indietro. Dovevo stare con il mio branco.
Sono scesa da quel ponte e sono tornata di nuovo nella Stella Azzurra.

Granchio Coccoloso – Mamma Rasha

Bontà o pseudo-bontà?

Nell’ultimo periodo ho in mente un pensiero, l’uomo è capace di “fare” bontà?
Mi spiego con una storia:
il Dio che ha creato il mondo un giorno lanciò una maledizione ad un adolescente. Venne condannato a provare dolore, ogni qualvolta avesse visto gente che soffriva. Per evitare di provare dolore, il ragazzo dava una mano alla gente afflitta. Poco dopo il creatore creò una copia fasulla del ragazzo, la copia non aveva una volontà propria, ma avrebbe fatto le stesse azioni del giovane. Anche lui iniziò ad offrire il suo aiuto alla gente sofferente.
Quale dei due personaggi può essere chiamato ’Bontà’ e chi ’Pseudo-Bontà’?
A rigor di logica, si potrebbe dire che il ragazzo è reale, mentre l’imitazione che è una copia del giovane, può essere considerato un falso. Inoltre il ragazzo aiutava la gente sofferente e questo è un atto di bontà, mentre la copia non ha una volontà autonoma, quindi il bene che fa verso gli altri è solo frutto di un’imitazione. Pertanto il ragazzo dovrebbe essere chiamato ’Bontà’ mentre la copia ’Pseudo-Bontà’.
Anche se questa risposta può essere considerata la più logica, non può essere la risposta esatta, perché la bontà che segue una logica non è altro che pseudo-bontà. Sebbene il ragazzo aiutasse chiunque, il motivo che lo spingeva a farlo era la maledizione del creatore. Lo faceva solo per evitare che lui stesso provasse dolore. Anche se stava facendo del bene, lo faceva per se stesso. Quindi è indubbiamente una forma di pseudo- bontà.
Allora qual è la risposta? Il motivo per cui la copia può fare puramente del bene è perché non possiede una volontà propria, non riesce a pensare autonomamente. La differenza tra bontà e pseudo-bontà dipende dal motivo che guida chi compie delle buone azioni, cioè se vanno a suo vantaggio o meno.
Quindi, gli umani che possiedono una volontà possono perseguire il bene puro?
Gli umani non sono macchine. Hanno la loro volontà. Anche se fanno del bene, è ’impossibile che agiscano in maniera disinteressata, andando contro i propri interessi. Questo perché colui che fa del bene ne trae una soddisfazione psicologica e anche questo è un modo per ottenere vantaggi personali.
Quindi, sintetizzando: sacrificio e uno scambio di interessi fisici per interessi psicologici.
Ad esempio, un ragazzo sacrifica la propria vita per salvare cento persone. Perché dovrebbe farlo? Perché nella sua mente ’salvare cento persone’ è un atto più nobile e generoso di salvare la propria vita. Così facendo, non agisce solo in favore delle cento persone, ma anche di se stesso, perché è stato lui a fare quella scelta.
Nella situazione appena descritta, per gli umani è impossibile fare del bene puro perché essi possiedono una volontà autonoma. Gli umani possono fare delle scelte, e la scelta stessa è un atto che va a vantaggio di chi la compie! Di conseguenza, la bontà degli umani non può essere considerata bontà, ma pseudo-bontà.
Quando la pseudo-bontà diventa più grande della bontà, essa viene automaticamente distorta e diventa malvagità.
Per spiegare: immaginate il ragazzo che, a causa della maledizione, aiuta la gente che soffre. Un giorno incontra un uomo sofferente, ma che non può essere salvato o redento; a questo punto il ragazzo dovrebbe patire costantemente il dolore della maledizione. Quindi, non potendo salvare quell’uomo, cosa dovrebbe fare? C’è un’alta probabilità che il giovane potrebbe uccidere l’uomo che soffre, perché quando la pseudo-bontà è spinta all’estremo, può liberamente diventare malvagità!
C’è una piccola probabilità invece che, alla fine, il giovane decida di sopportare il dolore e non smetta di provarci. A quel punto la pseudo-bontà del giovane verrebbe sublimata a pura bontà.
Gli umani hanno la loro volontà, ma contro le tante scelte della vita, possono prendere delle decisioni sulla base del libero arbitrio. Chiaramente, questa è considerata un’azione che soddisfa gli interessi personali. Ma se si è costretti a fare una scelta che va contro ciò che vogliamo davvero, a quel punto la nostra volontà non si realizza come vorremmo e in questo caso si crea un concetto purò di bontà.
Mi scuso per quest’ampia dissertazione, ma spero che questa mia riflessione possa essere usata anche da altri, come spunto di pensiero…

Alessandro Cantù
Barbagianni Riflessivo

Dialoghiamo per crescere

Come si diventa un buon capo? Come si capisce se ciò che si sta insegnando ai ragazzi è assolutamente corretto e se le decisioni che si prendono diano i risultati migliori?
Forse è l’esperienza, forse bisogna leggere libri e ascoltare coloro che sono più esperti… forse il modo migliore per capire queste cose, e quindi differenziare un insegnamento corretto da uno sbagliato, è il confronto. Crediamo che il confronto sia lo strumento più adatto per interagire meglio con gli altri. Attraverso il dialogo e l’esperienza comunitaria noi possiamo crescere come persone responsabili, in grado sia di dare, sia di ricevere valori e sani principi.
Dopo aver preso la partenza oltre a tutte le varie componenti che un partente dovrebbe avere, egli sa che è all’inizio di un nuovo cammino, ha già gettato le fondamenta, ma l’edificio è ancora da costruire; e quale strumento migliore possediamo, se non il dialogo? Infatti una recente ricerca ha dimostrato che il più importante elemento che ha permesso all’uomo di sviluppare in modo così sorprendente le proprie capacità mentali e di migliorare le proprie conoscenze è riconducibile alla crescente interazione tra le persone.
È necessario perciò un confronto con i capi per capire, tramite le loro esperienze, quali scelte potrebbero essere le migliori; è indispensabile anche dialogare con i ragazzi per apprendere se dal loro punto di vista siamo dei buoni testimoni dei valori scout; è importante infine effettuare un cammino personale di fede, per poi condividerne l’esperienza con gli altri.
Condividere le proprie idee e pensieri non è facile; qualcuno potrebbe aver paura che quello che si sta per dire sia sbagliato o che per una parola di troppo si possa ricorrere all’ira o allo sdegno di chi ascolta. Bisogna eliminare questi pensieri dalla propria testa e parlare con gli altri senza paura, cominciando magari con le persone con cui ci si trova meglio, per poi riuscire ad aprirsi anche con gli altri. Magari anche quel ragazzo, sì, quello sempre seduto dall’altra parte del cerchio con cui al massimo abbiamo scambiato un timido ciao, anche lui, magari, potrebbero avere molto da dirci e da darci. Basta saper guardare le persone nel profondo, e non solo in superficie.
Bisogna superare la barriera della paura di non farcela, del timore di essere criticati perché troppo rigidi o perché troppo permissivi e riuscire ad essere semplicemente… noi stessi.
Ammettere in primo luogo le nostre imperfezioni, i nostri possibili errori e, di conseguenza, renderci conto che quando gli altri sbagliano non devono essere giudicati e basta, ma guidati a comprendere in che modo superare gli ostacoli e andare avanti.
Barbagianni riflessivo
Lupo selettivo

Editoriale: La grande bellezza

Non siamo molto originali con i titoli ma il tema scelto per quest’anno dalla pattuglia Fede è la BELLEZZA.
In un momento storico così confuso, contraddittorio, dove tutto è il contrario di tutto parlare di BELLEZZA sembra quasi un paradosso. Eppure già i saggi dichiarano che la Bellezza salverà l’Uomo e che Dio è il Bello in sé.
La deduzione logica di questi pensieri è che forse la Bellezza va cercata, annusata, sentita, vissuta perché ne abbiamo bisogno, a volte più dell’aria che respiriamo.
Ha senso cercare Dio nell’altro e nel creato, ma con un’attitudine condita di entusiasmo e energia.
Questo è quanto l’esperienza scoutistica porta in ognuno di noi che opera come educatore o gode nell’essere scout.
Esperienza di Bellezza è esperienza di Dio e a qualsiasi età delle nostre branche questo assume le caratteristiche del Giusto e del Vero.
I castorini con la Bellezza dello stupore per ogni cosa che smuove l’entusiasmo del cercare; la Bellezza della scoperta nei lupetti che da impeto a proseguire nella ricerca; la Bellezza dell’avventura negli esploratori e nelle guide, che pone sfide che fortificano e coltivano il coraggio; la Bellezza del servire, naturale approdo di un cammino nella Luce affinché si possa lasciare il posto un po’ migliore di quanto lo si sia trovato.
La Bellezza viene dall’Amore, l’Amore viene dall’attenzione.” Christian Bobin ci offre questo teorema che diventa traccia da seguire.
La stessa attenzione “sprecata” dai locandieri di Bethlemme all’arrivo di Giuseppe e Maria nel non comprendere il versetto “e tu Bethlemme non sei la più piccola delle città”, che è profezia.
La stessa attenzione dei pastori nello scorgere quel suono che annunciava come fosse una trovata pubblicitaria, o nel vedere nel cielo quella luce, la stessa che cattura l’attenzione di tre Magi e li convince ad intraprendere un cammino avendo come combustibile la speranza.
La stessa attenzione umile e silenziosa di Giuseppe, ben consapevole del ruolo di comparsa in questo straordinario palcoscenico ma senza il quale nulla sarebbe stato perfetto.
Ognuno ha un ruolo preciso, uno straordinario lavoro di team work dove il Disegno si realizza concretamente e attraverso la tenerezza di un bimbo neonato scatena la potenza dell’Amore.
E tutto alla Luce, perché sebbene la notte è il tempo in cui si svolsero i fatti, una luce apparse nel cielo e si fece giorno, la Luce che permette di vedere la Bellezza e non solo con gli occhi.

La Pattuglia Fede di CoCa

Tener fede agli impegni presi

Cari amici ed amiche, benvenuti ancora una volta sulle pagine di “Generazione X”.
Non sono sicuro se la sensazione che provo in questo momento nasca dal principio di raffreddore che mi sento insorgere, dal recente arrivo del caldo al quale non mi sono ancora del tutto abituato o dal semplice rendermi conto che mentre l’anno scout sta finendo, sta anche inesorabilmente per iniziare il periodo degli esami universitari.
La sensazione che provo, molti di voi l’avranno probabilmente intuito, è la stanchezza. Una strana stanchezza dovuta ad un misto di cause mentali ed ambientali che porta solitamente in dote un forte desiderio di abbandonare qualunque cosa si stia facendo e dedicarsi al riposo.
Non sarò certo io a schierarmi, spada tesa, contro l’ozio in generale. Non solo perché chiunque mi conosca anche solo un poco percepirebbe a distanza di chilometri l’ipocrisia, ma anche perché il riposo, nella quantità e nei momenti giusti, ci permette di affrontare con più gioia e meglio concentrati i diversi impegni della giornata.
L’unica vera differenza tra momenti d’ozio positivo e negativo, quindi, sta nel quando prenderseli. Come accennavo poco sopra, il caldo è arrivato e sembra davvero che non abbia intenzione d’andarsene ancora per qualche mese. Questo causa la forte tentazione di dedicarsi, già ad inizio Giugno, alle vacanze.
E perché no?” ci dice il cervello: “Alla TV ci sono già le pubblicità dei gelati, fa così caldo che le vecchiette non mi chiedono più se ho freddo coi calzoni corti e alla radio stanno già iniziando a far sentire continuamente la stessa canzone, ormai è tempo di festa!
Eppure è bene, il nostro bene, che teniamo duro ancora un po’. Se troviamo la cosa difficile, consiglio a tutti di fare un veloce salto indietro ad ormai due settimane fa, quando abbiamo visto intitolare una via della città alle nostre amate Aquile Randagie. Uno dei loro motti, e delle loro più grandi conquiste, era la consapevolezza di essere “Vissuti un giorno più del fascismo”.
Eppure anche loro avranno voluto arrendersi, considerando che spesso affrontavano non il caldo del sole estivo, ma il caldo del piombo bollente delle pallottole.
Viviamo, per fortuna, in tempo di pace. Non ci è richiesto di correre tali pericoli e fare tali sacrifici, ma ci è chiesto quotidianamente di tenere duro e soprattutto fede agli impegni che abbiamo preso.
Sarà solo così che tutti, a cominciare da noi stessi, saremo decisamente più felici. Consci di starci godendo il meritato riposo dopo aver compiuto il nostro dovere.
Trichecho Birbante