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Attendere è mettersi in viaggio

Che cosa significa attendere il Natale?
Ci sono due modi per attendere il Natale. O aspettare che il 25 dicembre arrivi da noi senza doverci scomodare più di tanto per accoglierlo, oppure metterci in viaggio per andargli incontro facendoci strada in mezzo a tutti i nostri impegni e a tutte le nostre preoccupazioni. A livello di calendario non cambia nulla: il giorno di Natale arriva sempre e comunque, i regali compaiono sotto l’albero e tutti sono più buoni (anche solo per finta). A livello di cuore, invece, è tutta un’altra storia.
C’è chi aspetta che il Natale gli piombi addosso tutto d’un tratto con le sue luci colorate e il suo buonismo sdolcinato e chi, invece, giorno dopo giorno, attraversa l’Avvento per raggiungere la mezzanotte della festa tanto attesa. Il primo non si accorge nemmeno di che cosa stia capitando, perché continua a condurre la sua vita come se nulla fosse: non succede niente, non cambia niente, rimane fermo. Il secondo attende, quindi si mette in moto sul serio, perché sente che nel Natale è nascosta una promessa di bene per la sua vita e desidera raggiungerla: per questo si mette in viaggio. Attendere, in fondo, significa mettersi in viaggio: partire dalle proprie certezze per andare alla ricerca di una novità. E il Natale è per definizione una novità, perché si tratta di una nascita, della venuta al mondo di qualcosa di nuovo, sebbene Gesù sia sempre lo stesso.
Attendere il Natale significa mettersi in viaggio per il Natale. Sì, ma questo viaggio dove si svolge? In che modo coinvolge la nostra vita? Cosa succede quando ci mettiamo veramente ad attendere il Natale? Almeno tre cose, direi.
Attendere il Natale significa innanzitutto mettersi in viaggio dentro noi stessi. L’attesa del Dio fatto uomo ci chiama ad entrare nella nostra umanità e a prendere coscienza delle attese più profonde riposte nel nostro cuore. A Natale possiamo sentire più intensamente che desideriamo essere felici e vivere in pace. A Natale possiamo renderci conto di che cosa conti davvero nella nostra vita. A Natale possiamo scoprire che noi contiamo davvero. Sì, perché la nascita di Dio va incontro alla nostra umanità e la benedice: Gesù nasce perché Dio ci ama. C’è bisogno di metterci in viaggio dentro noi stessi, perché proprio al fondo della nostra vita risiede la gioia del dono del Natale; il nostro cuore, pur malmesso che sia, è pur sempre una mangiatoia adatta per accogliere il Salvatore.
Attendere il Natale, poi, significa mettersi in viaggio incontro agli altri. L’attesa di Gesù che si fa incontro all’umanità bisognosa ci chiama ad andare incontro al prossimo. A tutti, nessuno escluso, ma a partire da chi è più vicino. È più facile fare la carità ai lontani che non possiamo vedere piuttosto che ai vicini che, a forza di vederli di continuo, ci hanno persino scocciato. Gesù ha iniziato a cambiare la vita di quelli che gli stavano accanto: la mamma e il papà, poi i pastori che l’hanno visitato a Betlemme, i magi e poi quelli che l’hanno conosciuto di persona. Quanto amore si è raccolto intorno a quella culla! E quanto amore da quella culla è partito ed ha irradiato il mondo fino ad oggi. Tutto è iniziato con quel primo Natale, che prima ha messo in moto molte persone radunandole presso Gesù e poi le ha rimesse in moto perché andassero da altri a portare la gioia di quell’incontro straordinario con Dio. Attendere il Natale, dunque, significa partire dalla propria autosufficienza e andare incontro agli altri per condividere con loro il dono dell’amore di Dio.
Attendere il Natale significa infine mettersi in viaggio verso Dio. L’attesa di Dio che nasce in un bambino è l’occasione più propizia per incontrare Dio, perché in quel modo Dio si è reso avvicinabile da tutti. Tutti ci sentiamo a nostro agio di fronte ad un bambino piccolo; tutti rimaniamo affascinati dal mistero poderoso della vita che nasce e prende forma in un corpo piccolo, indifeso e bisognoso di aiuto. Ebbene, Dio è nato proprio così e per questo è alla portata di ciascuno. A Natale abbiamo tutti una possibilità in più di incontrare o di avvicinarci a Dio, perché lui si presenta a noi come un bambino. A Natale abbiamo l’occasione di considerare che la vita è più grande, più larga, più profonda e più bella di quanto ci appare alla superficie della nostra quotidianità. Se accettiamo di scrollarci di dosso la supponenza che talvolta prende noi adulti, allora abbiamo una possibilità concreta di fare esperienza del Salvatore. A Natale, infatti, siamo noi a doverci abbassare per incontrare Gesù bambino.
Chi quest’anno sta aspettando il Natale senza curarsi di fare niente forse sta facendo meno fatica, ma non sa che cosa si sta perdendo. Il Natale è sempre l’occasione buona per dare una svolta alla propria vita, perché chiede di mettersi in viaggio per raggiungere Gesù. Solo chi osa entrare dentro di sé, uscire incontro agli altri e stare alla presenza di Dio può sperare in un reale cambiamento. E solo il richiamo del Signore che viene nel mondo ha la forza per farci intraprendere e portare a termine questo grande viaggio.
Buon Natale, buon viaggio!

Don Alberto

Essere pronti o preparati?

pronti o reparatiIl motto degli scout in inglese (quindi quello originale, potremmo dire) è “Be prepared”, letteralmente “Sii preparato”, che è però stato tradotto in italiano con “Sii pronto”. Forse “pronto”, “ready” in inglese, suona meglio di “preparato”, ma apprezzo che si sia fatta questa scelta. Trovo infatti che il secondo termine sia sottilmente più adatto a rappresentare come uno scout dovrebbe essere. Vorrei farvi subito un paio di esempi utili per capire cosa vorrei dirvi.
Pensiamo al preparare da mangiare, o meglio ancora, a preparare una cena con tanto di ospiti, servizio buono e portate numerose. Diciamo preparare perché in questo caso abbiamo pianificato tutto e sappiamo prima come si svolgerà la cena: sappiamo il menù e quindi che piatto servire in che momento, sappiamo chi abbiamo invitato e quindi chi accogliere e dove farlo sedere a tavola, sappiamo se qualcuno non mangia certi cibi e abbiamo, magari, già messo in fresco il vino giusto da abbinare.
Pensiamo, invece, ad un atleta prima che inizi la sfida: sta aspettando il segnale “pronti, via!”, infatti non può sapere come evolverà la gara e quali saranno le mosse degli avversari; non può aver preparato un piano per ogni evenienza ma, all’occorrenza, dovrà fare affidamento sulle sue capacità per rispondere prontamente.
Cosa c’entra questo con gli scout? Direi che gli esempi ci si tuffano nella mente: uno fra tutti potrebbe essere un hike o una tappa della route. Prima di partire si fa lo zaino e si studia la strada (magari qualcuno l’ha anche già fatta durante un sopralluogo), ma non si potrà mai essere del tutto preparati. Non possiamo prevedere se effettivamente tutti saranno capaci di camminare al passo giusto e se si riuscirà a rispettare la tabella di marcia, se qualcuno si farà male né dove o quanto o se, come è capitato al mio clan un giorno, una pioggia torrenziale farà franare l’unico sentiero percorribile. Un altro esempio potrebbe essere un campo estivo: non potremo preparare prima il calendario del campo prevendendo i giorni in cui pioverà, ma dovremo farci trovare pronti con le canaline attorno alle tende, i teloni sulle cucine e la legna per il fuoco al riparo.
In certi casi, dunque, il “Be prepared” originale di Baden-Powell va sostituito con il detto di un altro noto generale e stratega, Erwin Rommel, che disse: “Nessun piano può resistere all’impatto col nemico”.
Dobbiamo essere pronti, dunque, attenti a capire ciò che la vita ci sta ponendo davanti e a coglierlo al meglio con le nostre doti e capacità; quei talenti che, come le molte lame dei coltellini svizzeri, abbiamo sempre con noi per usarli di volta in volta al meglio. Dopotutto nessuno è mai stato così folle da preparare un naufragio, ma è lì che, secondo B.-P., uno scout deve risultare “indispensabile”.

Siamo in Avvento. Ci stiamo quindi preparando al Natale. Già, perché Natale arriva ogni anno lo stesso giorno e, per quanto rimanga sempre bello e magico, sappiamo già pressappoco cosa succederà: si addobba l’albero, si allestisce il presepe, si comprano i regali, poi c’è la messa, si aprono i regali e si fa il pranzo con i parenti. Si tratta di un rituale, appunto, che vuole celebrare la venuta di Cristo sulla Terra e ci ricorda la Bellezza del suo messaggio. Però Gesù non possiamo incontrarlo solo una volta l’anno. Infatti, Lui può arrivare nella nostra vita ogni giorno, in ogni momento… ma non sappiamo né come né quando. Non possiamo segnarci l’arrivo di Gesù nella nostra vita sul calendario o scrivercelo sull’agenda o creare un evento su Facebook (ed invitarci gli amici, ovvio). Non possiamo prepararci, possiamo solo farci trovare pronti. Quanta bellezza ci passa ogni giorno sotto gli occhi e non siamo pronti a coglierla perché “in altre faccende affaccendati”?
Cogliamo, quindi, la bellezza del Natale per spingerci a cercare quella Bellezza che potrebbe essere dietro ogni angolo che svoltiamo, in ogni persona che incontriamo e in ogni cosa che facciamo. Pronti a coglierla.

Gus

A Natale con stile e bellezza

diga di coloniaQuest’anno a Natale ci vogliamo arrivare con giusto stile, riscoprendo la bellezza dell’uniforme scout.
La semplicità di quella camicia azzurra come il cielo, di quei pantaloni sempre corti (anche d’inverno), del fazzolettone che ci siamo conquistati.
Ed anche per i  castorini l’uniforme conta, tanto che può trasformarsi pure in un gioco. Per conoscerla meglio!
Un gioco che ci unisce, fino a formare una grande famiglia.
Ed io mi sento così, in famiglia. La bellezza del natale si cela anche dietro questo.
Questo Natale voglio portare tale bellezza con me e mi auguro che durerà anche nel 2018.
La bellezza sana è i bambini che ci sono affidati, la bellezza è sapere che fanno parte della nostra famiglia.

Raganella frenetica

Editoriale: La grande bellezza

Non siamo molto originali con i titoli ma il tema scelto per quest’anno dalla pattuglia Fede è la BELLEZZA.
In un momento storico così confuso, contraddittorio, dove tutto è il contrario di tutto parlare di BELLEZZA sembra quasi un paradosso. Eppure già i saggi dichiarano che la Bellezza salverà l’Uomo e che Dio è il Bello in sé.
La deduzione logica di questi pensieri è che forse la Bellezza va cercata, annusata, sentita, vissuta perché ne abbiamo bisogno, a volte più dell’aria che respiriamo.
Ha senso cercare Dio nell’altro e nel creato, ma con un’attitudine condita di entusiasmo e energia.
Questo è quanto l’esperienza scoutistica porta in ognuno di noi che opera come educatore o gode nell’essere scout.
Esperienza di Bellezza è esperienza di Dio e a qualsiasi età delle nostre branche questo assume le caratteristiche del Giusto e del Vero.
I castorini con la Bellezza dello stupore per ogni cosa che smuove l’entusiasmo del cercare; la Bellezza della scoperta nei lupetti che da impeto a proseguire nella ricerca; la Bellezza dell’avventura negli esploratori e nelle guide, che pone sfide che fortificano e coltivano il coraggio; la Bellezza del servire, naturale approdo di un cammino nella Luce affinché si possa lasciare il posto un po’ migliore di quanto lo si sia trovato.
La Bellezza viene dall’Amore, l’Amore viene dall’attenzione.” Christian Bobin ci offre questo teorema che diventa traccia da seguire.
La stessa attenzione “sprecata” dai locandieri di Bethlemme all’arrivo di Giuseppe e Maria nel non comprendere il versetto “e tu Bethlemme non sei la più piccola delle città”, che è profezia.
La stessa attenzione dei pastori nello scorgere quel suono che annunciava come fosse una trovata pubblicitaria, o nel vedere nel cielo quella luce, la stessa che cattura l’attenzione di tre Magi e li convince ad intraprendere un cammino avendo come combustibile la speranza.
La stessa attenzione umile e silenziosa di Giuseppe, ben consapevole del ruolo di comparsa in questo straordinario palcoscenico ma senza il quale nulla sarebbe stato perfetto.
Ognuno ha un ruolo preciso, uno straordinario lavoro di team work dove il Disegno si realizza concretamente e attraverso la tenerezza di un bimbo neonato scatena la potenza dell’Amore.
E tutto alla Luce, perché sebbene la notte è il tempo in cui si svolsero i fatti, una luce apparse nel cielo e si fece giorno, la Luce che permette di vedere la Bellezza e non solo con gli occhi.

La Pattuglia Fede di CoCa

Invito S. Messa Gruppi Scout AGESCI

Ciao a tutti!!

 I gruppi scout AGESCI Busto1, Busto3, Busto5 e il gruppo MASCI Busto2, sono felici di invitarvi alla tradizionale Messa di Natale.

 volantino-messa-natale-2016

La messa si terrà alle 16.30 in Basilica di San Giovanni, vi consigliamo di arrivare con sufficiente anticipo.

Dopo la messa siete invitati all’oratorio San Luigi di via Miani, 5 per lo scambio degli auguri e per gustare insieme panettone, pandoro, the, cioccolata e vin brûlé.

 Vi aspettiamo numerosi.

Che sia un muro o un ponte…

24Se parliamo di idee, di concetti, un muro e un ponte sono due cose opposte: il muro divide, il ponte unisce. Se però cerchiamo una prospettiva un po’ più pratica della cosa ci accorgiamo che per quanto diversissimi tra loro un muro e un ponte hanno lo stesso inizio. Serve un punto fermo. “Campata per aria” è un modo di dire che indica una cosa senza fondamento: la campata è un elemento architettonico tipico del ponte, è quel pezzo di ponte tra due piloni o due colonne. Senza punto di appoggio la campata è “per aria”: non può reggersi, figurarsi far passare qualcuno. Anche un ponte di corde ha bisogno di una presa stabile, non c’è scampo (e non venite a propormi un ponte sostenuto dai palloncini!).
Se vogliamo costruire ponti ci serve dunque un punto stabile da cui partire: cosa sarà? E non mi dite Gesù, non è (ancora) la risposta giusta! Il punto stabile da cui partire siamo noi, è la nostra identità! Se il ponte deve collegare me e te devo sapere dove sono io, chi sono io! Non posso semplicemente lanciarmi verso di te con le dita incrociate: sarebbe una cosa “campata per aria”. Se vogliamo davvero costruire ponti dobbiamo partire da noi stessi, dalla nostra identità: la nostra identità di uomini e donne, di scout, di cristiani, di italiani.
Ma attenzione: un punto fermo può essere l’inizio di un ponte o di un muro. Il problema non è l’identità ma come ci si costruisce sopra. Se voglio alzarmi più in alto degli altri metterò i mattoni uno sopra l’altro: ecco un muro. Se voglio andare incontro all’altro metterò i mattoni uno a fianco all’altro: ecco un ponte. Ma se dimentico il punto fermo non importa come metto i miei mattoni: è tutto destinato a crollare.
Ed ecco l’augurio per il Natale: che ciascuno di voi possa trovare il punto fermo della sua vita, la stella polare per non perdere la direzione. Buon Natale!
Don Matteo

Generazione X

Ciao a tutti, cari amici ed amiche, e benvenuti ancora una volta sulla nostra rubrica di “Generazione X”.
Buttando l’occhio fuori dalle finestre delle nostre case non viene difficile riconoscere nel paesaggio intorno a noi i tipici elementi della stagione invernale: cielo plumbeo e carico di nuvole, alberi spogli con nodosi rami a vista, che diventano braccia di spettri quando immersi nella fitta nebbia della sera.
Mentre la natura si spoglia dei suoi colori per prendersi un meritato momento di riposo, l’uomo estrae invece luci e festoni, ed inizia con esse ad addobbare le proprie case e le proprie città.
Siamo finalmente entrati in quel periodo in cui lampadine di mille colori illuminano i balconi dei privati e le vie dei centri, e dovunque le vetrine dei negozi si riempiono di fiocchi e cappelli rossi col pon-pon.
Le scuole e le chiese iniziano invece ad allestire pubblicamente i loro presepi, perché non bisogna mai scordarsi, nonostante le mille tentazioni commerciali della stagione, che la festa in arrivo, quella del Natale, esiste per commemorare la nascita di Gesù Cristo.
Eppure, ogni anno, non solo la commercializzazione ma anche alcuni individui provano, e a volte riescono, a togliere quest’ultimo significato alla festa. Proponendo che si eviti di allestire i presepi, che si evitino canzoni natalizie a tema religioso, arrivando anche a modificare il proprio linguaggio, optando per un più generico “buone feste” rispetto al più tradizionale “buon Natale”.
La ragione che spinge certe persone a fare queste proposte è l’idea che, in questo modo, si porterà maggiore rispetto a tutti gli abitanti non cristiani del paese. Si eviterebbe, insomma, di obbligarli ad immergersi in una tradizione non loro.
Eppure, questo non mi sembra il modo migliore per confrontarsi.
Se davvero rispettassimo queste persone, non ci vergogneremmo di mostrare loro un pezzo della nostra tradizione, del nostro retaggio, della nostra cultura.
A che scopo erigere intorno ad esse un muro di “politicamente corretto” oltre al quale nessuno riesce più a vedere nulla, se non i festoni della commercializzazione che gli sono stati appiccicati sopra?
Piuttosto, meglio un ponte, un ponte fatto non di fango umido ed informe, ma da grossi tronchi d’albero, alberi che hanno avuto la loro storia e le loro radici, magari piantate nei lati opposti del fiume che questo ponte collega.
Perché è questo che fa un ponte, non solo unisce, che già di per sé è un’ottima cosa, ma unisce due realtà diverse, due sponde di un fiume, due lati di un fossato, talvolta addirittura due nazioni diverse.
La stessa cosa dovremmo fare noi, renderci ponti umani pronti a condividere ciò che ci costituisce, cultura compresa, con chiunque sia interessato. In particolare durante questa stagione di festa, dove l’unica cosa che ci viene chiesta, in realtà, è di volere bene ed accettare il prossimo.
Così come Maria, quella notte di più di duemila anni fa, accettò di portare al mondo il salvatore.
Auguri di buon Natale a tutti!
Tricheco Birbante

Una strada speciale

Consacrazione della cappellina costruita dal noviziato Consacrazione della cappellina costruita dal noviziato Gnothi Seautòn
Consacrazione della cappellina costruita dal noviziato Gnothi Seautòn

Si sa: per gli scout la “strada” non è solo un elemento del paesaggio, non è solo un metrodi asfalto tra due palazzi, non è solo un piede di terra battuta che scala una montagna. Strada è cammino, scelta, esperienza, vita.
Ebbene, cari scout: è giunto il momento, come ogni anno, di mettersi a camminare su una strada un po’ speciale. È una strada un po’ fangosa e non molto curata, è una strada vecchia, vecchissima. È una strada che tanti hanno calpestato eppure quando la affronti ti sembra di essere il primo. È una strada sulla quale si incontrano volti e storie della tua vita di tutti i giorni, ma in modo nuovo e speciale. È la strada che hanno percorso per primi i pastori, poi i magi e poi tutti gli uomini di buona volontà. È una strada che conduce a un incontro: un incontro che cambia la vita.
È l’Avvento: la strada che ci porta al Natale.
Eppure anche quest’anno, come ogni anno, corriamo un rischio. Che non è il rischio della fatica o del brutto tempo: uno scout sa che questi non sono veri problemi sulla strada. No, il rischio è di non metterci in cammino: di lasciarci frenare dalle paure (Non sono capace! E se poi è troppo difficile?), dai dubbi (Ma non so cosa devo fare! Come si fa?), dalla comodità (Non ne ho voglia! E poi a cosa mi serve?). Vi dico solo una cosa: siate scout! Se vi vengono alla mente questi pensieri fate un sorriso e rimboccatevi le maniche: c’è strada da fare. C’è strada da fare con i vostri fratelli e sorelle scout, c’è strada da fare nelle vostre parrocchie, c’è strada da fare con gli amici e in famiglia.
Zaino in spalla e… siamo già in cammino!
Don Matteo