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CINEMA E SCAUTISMO- Aquile randagie: una recensione

Al cinema sono immerso in uno stato di riposo e di mezzo sonno, con un racconto messo in immagini davanti ai miei occhi e, se il racconto, come troppo spesso accade, non vale niente, mi addormento tranquillamente- questo scriveva Baden-Powell nel 1922 in “La strada verso il successo”. Il rapporto, fra cinema e scoutismo, da “Up” alla scena iniziale de “Indiana Jones e l’ultima crociata” è sempre stata abbastanza tumultuosa, fra generici richiami ad una gioventù avventurosa e competente alle inevitabili parodie dove aiutano le vecchiette ad attraversare la strada. Ma recentemente un film ha provato a raccontare una storia di vero scoutismo, partendo da fatti realmente avvenuti nel corso di uno dei momenti più bui del nostro Paese: il ventennio fascista.
Lo scorso 30 settembre è infatti uscito nelle sale del paese “Aquile Randagie”, opera prima del regista Gianni Aureli, di cui sicuramente bisogna rispettare la scelta di voler raccontare al grande pubblico la storia di questi scout antifascisti, i cui atti di coraggio sono da tempo parte della “mitologia” di tutti i gruppi scout del nord Italia e non solo, ma la cui presenza purtroppo è nulla nella coscienza generale.
Ma il suo progetto è riuscito a risultare accattivante per il pubblico generalista e coerente con gli ideali e le aspettative di coloro che, già scout, sono cresciuti con quelle storie?

I fatti storici
Nel film Aquile Randagie, come tutti i film che hanno anche uno scopo di intrattenimento e non solo documentaristico, la trama è stata adattare per cercare di trasmettere certi messaggi e dei concetti che stavano a cuore a chi l’ha realizzato. Come ogni creazione anche questo film ha “l’impronta” dei suoi autori che inevitabilmente hanno fatto emergere dei punti di vista piuttosto che altri. Tralasciamo i veri e propri artifici più o meno necessari, come Barbareschi che fugge tra le raffiche di mitra dei nazisti (cosa mai successa) o la figura della partigiana che, giustamente, da un po’ di spazio anche alla parte femminile di una storia che sembra fatta solo di maschi.
Parlando in generale dell’impostazione storica del film quello che sembra emergere è un quasi esclusivo riferimento alla testimonianza di don Giovanni Barbareschi, che ci ha lasciato l’anno scorso. Barbareschi fu un’aquila randagia ma vide solo una parte della storia perché fu poi impegnato in seminario, con la FUCI e in altre realtà; non da ultima quella del giornale “Il Ribelle” che giustamente il film menziona. Anche la creazione dell’OSCAR, l’Opera Scout Cattolica Aiuto Ricercati, nel film sembra partire da Barbareschi stesso mentre è documentato che i primi ideatori furono don Andrea “Baden” Ghetti e don Enrico Bigatti che iniziarono con i salvataggi di ricercati dopo l’8 settembre 1943.
Il vero peccato di questo film, che non ha a che vedere con il budget ridotto o l’apertura al pubblico anche non scout, è che viene data una grande rilevanza all’OSCAR (periodo dal 1943 al 1945) ma si passa via velocemente su quello che accadde tra lo scioglimento dell’ASCI nel 1928 e le prime attività in Val Codera. Dal film sembra che Kelly e i suoi, dopo le leggi fascistissime siano passati dalle riunioni nei sotterranei delle chiese al “nascondiglio” della Val Codera. In realtà le Aquile Randagie iniziarono ad usare la Val Codera per i loro campi solo dal 1940! Per i 12 anni precedenti continuarono a fare le loro uscite ogni fine settimana nei dintorni di Milano, sotto il naso dei fascisti. Questo è il merito delle Aquile. Baden disse “Ci piaceva giocare a guardie e ladri coi fascisti”. Questo spiega la scena in cui gli scout in perfetta uniforme salgono sul palco delle autorità durante la parata (nascondendo il saluto scout nel braccio teso per quello romano). Nella seconda parte del film si vedono i membri di OSCAR comunicare e nascondersi utilizzando tecniche scout, ma questo è quello che facevano i ragazzi in età di reparto durante tutto il periodo della giungla silente.

La narrativa
Sicuramente quello che più colpisce del film è la sua impostazione di tipo corale: piuttosto che focalizzarsi su un solo personaggio, Aquile Randagie cerca di rimanere il più fedele possibile al suo titolo presentando un gruppo di personaggi che, nel corso della pellicola, saranno protagonisti di diverse vignette consecutive, occasionalmente intervallate da alcuni momenti comuni, come la beffa ai nazisti durante la parata romana o le attività in Val Codera. Una scelta che è lodabile nell’intento (mostrare la varietà ed il numero del gruppo scout) ma un po’ zoppicante nell’esecuzione. Benché la trama non sia difficile da seguire, a volte mi sono trovato a chiedermi quanto tempo fosse effettivamente passato tra una scena e l’altra, o esattamente in quale luogo fosse ambientata la scena. Una soluzione al problema sarebbe potuta essere l’utilizzare la cornice durante la quale Baden scorta un nazista verso dei soldati alleati come punto di sbocco per le varie scenette, che sarebbero state nel contesto lunghi flashback, oppure seguire, per tutta la durata del film quel giovanissimo che ha pronunciato la promessa nel momento in cui il fascismo dichiarava illegale ogni associazione non affiliata al partito, scout compresi. Considerando che il film vuole chairamente essere goduto dal grande pubblico, perché non usare come principale finestra su questo mondo fatto di escursioni in montagna, resistenza al fascismo e pantaloni corti anche d’inverno qualcuno che, come il pubblico, sa relativamente poco delle Aquile Randagie?

Conclusione
Per essere un primo tentativo di un regista esordiente, ed essere un film che parla di resistenza alla dittatura, la pellicola manca paradossalmente di coraggio. La storia che racconta è godibile e non si segue con grande difficoltà, ma manca di riferimenti davvero profondi alle Aquile Randagie per accontentare chi già conosce le loro imprese, ed è un po’ troppo lento e disconnesso per accattivare davvero il grande pubblico. Rimane comunque un valido punto d’inizio per farsi un’infarinatura su chi fossero le Aquile Randagie e quale sia stato il loro ruolo di opposizione al fascismo. Rimane anche un buon punto d’inizio per lanciare progetti più ambiziosi inerenti allo scoutismo, e nonostante tutto quanto si è scritto la presenza di una pellicola simile, in un periodo dove gli estremismi stanno tornando più subdoli che mai rincuora e fa sperare che, anche stavolta, si sopravviverà un giorno in più rispetto al fascismo.

 
scritto a quattro mani da Phil & Guss.

Hanno lasciato una traccia: Don Giovanni Barbareschi

Don Giovanni BarbareschiA darci un passaggio verso questo Natale, tra gli altri, sarà sicuramente don Barbareschi, uno scout diventato “Giusto tra le Nazioni” e medaglia d’argento per la Resistenza. Ci ha lasciati il 4 ottobre scorso a 96 anni, tanto che è stato ricordato anche alla nostra Festa di Apertura. Era l’ultimo delle Aquile Randagie, coloro i quali, nonostante il divieto imposto dal fascismo, continuarono l’attività scout clandestinamente. Ma non fece solo questo: dopo l’8 settembre 1943, con la resa dell’Italia e l’inizio dell’occupazione tedesca, assieme a Teresio Olivelli, Carlo Bianchi, David Maria Turoldo, Mario Apollonio, Dino Del Bo, partecipa agli incontri che porteranno alla fondazione del giornale Il Ribelle. Il giornale delle brigate partigiane “Fiamme Verdi”, attive in Lombardia ed Emilia, esce quando può per 26 numeri, facendo correre ai suoi sostenitori, che si definivano “ribelli per amore”, grandi rischi sia per stamparlo sia poi per distribuirlo: infatti uno dei tipografi, Franco Rovida, e lo stesso Teresio Olivelli finiranno la loro esistenza in un campo di concentramento. Oltre a questa attività si impegna con le Aquile randagie e l’O.S.C.A.R. (Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati) con il compito di portare in salvo, in Svizzera, ebrei, militari alleati e ricercati politici per un totale di 2166 espatri clandestini.
Il 10 agosto 1944 va dal cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, pregandolo di andare ad impartire la benedizione ai partigiani uccisi in piazzale Loreto, ma il cardinale gli ordina di andare lui stesso, benché ancora diacono. Davanti ai cadaveri lasciati come crudele monito alla popolazione si inchinò e recitò la preghiera di benedizione. Una volta terminata si accorse che tutta la piazza si era inginocchiata con lui. Tre giorni dopo (13 agosto) viene ordinato sacerdote dal cardinale Schuster e celebra la sua prima messa il 15 agosto; la notte stessa viene arrestato dalle SS mentre si sta preparando per accompagnare in Svizzera degli ebrei fuggitivi. Resta in prigione fino a quando il cardinale non ne ottiene la liberazione e, quando in seguito si presenta a lui, il cardinale si inginocchia e gli dice:
«Così la Chiesa primitiva onorava i suoi martiri. Ti hanno fatto molto male gli Alemanni?»
Passa qualche giorno e don Barbareschi parte per la Valcamonica, dove si aggrega alle Brigate Fiamme Verdi e diventa cappellano dei partigiani. Dopo essere stato arrestato viene portato nel campo di concentramento a Bolzano (Durchgangslager Bozen), da dove riesce a fuggire prima di essere trasferito in Germania; ritornato a Milano diventa il “corriere di fiducia” tra il comando alleato ed il comando tedesco durante le trattative per risparmiare da rappresaglie le infrastrutture milanesi. Dal 25 aprile 1945, su mandato del cardinale Schuster, si adopera per evitare rappresaglie contro i vinti e con l’avallo dei comandi partigiani e alleati opera per salvare dal linciaggio il maresciallo Karl Otto Koch, il generale Wolff e il colonnello Dollmann (il quale il 4 marzo 1948 gli offrirà il suo diario personale come ringraziamento per avergli salvato la vita), direttamente responsabili delle sue sofferenze in carcere.
Dopo la guerra continuò ad insegnare (fu anche professore di religione di mio padre!) e ad essere attivo nella FUCI e nello scoutismo, verso il quale non smise mai di attivarsi per il ricordo della Resistenza.

e. g.

Scout disobbedienti per amore della libertà

Una resistenza senza fucile. Si potrebbe definire così (ma anche in tanti altri modi) l’insieme delle attività compiute dal gruppo scout clandestino che va sotto il nome di “Aquile Randagie”: alcuni sostengono che, da un punto di vista cronologico, si tratti del primo manipolo italiano di resistenti al fascismo, essendosi costituito nel 1928 con circa quindici anni di anticipo sulla più nota resistenza partigiana. Primo oppure no, per noi resta comunque il fondamentale modello cui tendere per essere anche oggi, nel terzo millennio, scout fedeli (sempre, alla Promessa e alla Legge) e ribelli (quando circostanze di ingiustizia lo richiedano). Per questi motivi sabato 27 maggio è stata intitolata a questi giovani gagliardi la via che dal parco di Villa Comerio porta alla nostra sede ed è stata scoperta la targa che narra la loro storia e li ricorda come “pietre vive” per la città di Busto Arsizio. E così, ogni volta che entreremo in sede, percorrendo “via Aquile Randagie”, ci ricorderemo quale deve essere il nostro stile, quali i nostri fini e con che tenacia dobbiamo perseguirli.

L’articolo di VareseNews

Scout che resistono

È la fine di questo anno scout, e le fini sono quasi sempre difficili: le forze diminuiscono, le cose da fare aumentano e bisogna tenere duro. Anche noi, tra imprese che si concludono e campi estivi che si avvicinano non possiamo “mollare”.
Resistere è il tema di questo Tuttoscout #159. Dopotutto lo scoutismo ha sempre educato alla resistenza, al sopportare la fatica e le situazioni avverse, a resistere nelle prove fisiche della vita all’aria aperta e in quelle morali nel confronto continuo con una società che spesso non rispecchia gli ideali e gli obbiettivi che come scout, cittadini del mondo e cristiani ci prefissiamo.
Due settimane fa abbiamo assistito all’intitolazione di “via Aquile Randagie – scout disobbedienti per amore della libertà”. Gli scout della Giungla Silente che si ribellarono al fascismo sono il primo riferimento per noi nel pensare alla resistenza contro le sfide più grandi, quelle in cui bisogna calciare via le prime due lettere dalla parola IMPOSSIBILE. 
Ci sarà capitato di veder sciogliere squadriglie, il nostro Gruppo ha visto sciogliere reparti, altri gruppi interi si sono sciolti… ma quei giovani esploratori e capi videro sciogliersi completamente la loro associazione. Eppure, uniti, resistettero “un giorno più del fascismo”.
Anche oggi, però, noi scout possiamo essere messi alla prova quotidianamente, nel grande e nel piccolo. Ancora oggi dobbiamo resistere, saldi nella nostra proposta che si evolve modellandosi sul presente ma che non deve piegarsi a ciò che non le appartiene.
Così, dai senza tetto di New York agli antifascisti di Brno, passando per un episodio successo proprio nella nostra provincia di Varese (il cui racconto, come per gli altri, trovate di seguito), gli scout di tutto il mondo resistono e continuano a percorrere i sentieri non battuti dei nostri boschi e delle nostre città.
Enrico G.

La foto di questa scout che affronta con il sorriso i neonazisti sta facendo il giro del mondo – HuffingtonPost

Usa: a New York prima sezione per ragazze Scout homeless – Ansa

Varese, blitz dei naziskin contro il partigiano Pippo: minacce e intimidazioni all’incontro con i ragazzi – LaRepubblica

 

Hanno lasciato una traccia: Giulio Cesare Uccellini

KellyPare giusto cogliere l’occasione del Kelly Day raccontato su questo numero per parlarvi di Giulio Cesare “Kelly” Uccellini, nome totem “Tigre”, il “Bad Boy” che aiutò a tenere viva la fiamma dello scoutismo in Italia (insieme a tanti altri) durante il buio periodo fascista.

Nacque a Milano l’11 marzo 1904 e, contro il volere del padre, entrò nell’ASCI Milano 2 nel 1917.
Il suo senso civico, la profonda fede religiosa e l’amore per lo scoutismo lo spinsero a rinunciare alla carriera professionale nella Banca d’Italia e alla creazione di una famiglia per dedicare la sua vita allo scautismo e ai suoi ragazzi. Il suo impegno continuò anche dopo il 1928, quando le Leggi Fascistissime dichiararono illegale il movimento scout.

Quando nel 1927 fu imposto all’ASCI (Associazione Scout Cattolici Italiani, che insieme all’Associazione Guide Italiane diede poi vita alla nostra AGESCI) di apporre sulle proprie insegne lo stemma dell’Opera Nazionale Balilla, Uccellini si rifiutò, e di nuovo rifiutò di consegnare le insegne quando nel 1928 lo scautismo venne definitivamente soppresso.
Uccellini non accettò la fine dello scautismo, e con alcuni ragazzi continuò a mantenere vivo clandestinamente il suo gruppo, al quale diede il nome di “Aquile randagie”. 24-2Continuò a portare avanti le sue idee di libertà e non-violenza, proponendo ai ragazzi un modello di capo gioioso e coraggioso, capace di continuare nel suo impegno anche dopo che la polizia fascista lo aveva picchiato fino a procuragli dei seri danni all’udito.
Il suo gruppo, che nel frattempo aveva accolto anche nuovi ragazzi e scout appartenenti agli altri gruppi ormai disciolti, seguitò le attività di nascosto, con campi estivi annuali e partecipando anche ai jamboree mondiali. A quello di Vogelenzang (Paesi Bassi), il 9 agosto 1937 Uccellini incontrò B.P. in persona, il quale rimase colpito dalla storia delle Aquile randagie ed esortò Kelly a proseguire nella sua impresa.
Durante la seconda guerra mondiale, e specialmente in seguito all’8 settembre 1943, Uccellini, insieme agli altri capi delle Aquile randagie, cercò dei modi per aiutare le persone ricercate dai fascisti. Partecipo’quindi alla nascita di O.S.C.A.R. (Organizzazione scautistica cattolica di aiuto ai ricercati). Come membro di questa organizzazione partecipo’all’espatrio in Svizzera di 75 prigionieri africani evasi, anche se l’azione più eclatante forse fu la liberazione di un bambino ebreo dall’ospedale in cui era tenuto prigioniero dei tedeschi in attesa di essere inviato a un campo di sterminio.

Blank white book w/pathKelly morì il 23 marzo 1957 a 53 anni per un tumore allo stomaco. Lasciò scritto di essere sepolto in uniforme, con al cuore il giglio scout e al collo il fazzolettone di Gilwell (che distingue i capi in tutto il mondo), a testimonianza del suo attaccamento a un movimento al quale aveva dedicato la sua vita.
In quello stesso anno gli viene conferita alla memoria la medaglia d’oro della provincia di Milano per il merito educativo.

Enrico Gussoni