“Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli”. Questa è la semplice frase di Martin Luther King con cui ho deciso di iniziare il mio articolo. Innanzitutto mi presento: mi chiamo Martina e sono una futura CDA dei Tiko. Questa è la terza volta che scrivo sul Tuttoscout, e questo è l’argomento che fra i tre preferisco.
Tornando alla frase, se ci riflettiamo è proprio vero: alcune persone si odiano solo perché hanno la pelle di un colore diverso, perché non parlano la stessa lingua o perché credono in un Dio diverso.
Nella vita di tutti i giorni, per esempio a scuola, senza accorgercene lasciamo da parte quelli diversi da noi che poi si sentono soli.
Quando mi accorgo che qualcuno si sente solo, provo a mettermi nei suoi panni e mi rendo conto del disagio che si prova, è davvero molto brutto sentirsi esclusi! Ma perché si sentono esclusi? La risposta è una sola: perché sono diversi. Perché molte persone non hanno ancora imparato “l’arte di essere fratelli”.
Ora, se c’è una cosa che, vi posso garantire, agli scout imparerete, è proprio l’arte di essere fratelli. Nel mio branco, per esempio, ci sono alcuni ragazzi con difficoltà fisiche o mentali; all’inizio un lupetto può pensare: “no, ma che noia, io sono venuto qui per divertirmi e invece con loro mi annoierò e basta”. Ve lo assicuro, tutti, me compresa, all’inizio pensano questo, poi però scoprono che non è assolutamente vero.
Con loro ci si diverte allo stesso modo come con gli altri, anzi, dopo un po’ non si riesce nemmeno più a fare a meno di loro perché sono davvero simpatici. Imparare ad essere fratelli è molto facile agli scout, tuttavia tantissime persone non lo capiscono e forse non comprenderanno mai il significato della parola “fratellanza”.
Penso che se la maggior parte dei bambini e ragazzi andassero agli scout, il futuro sarebbe più bello e meno “razzista”. Uso questa parola per spiegare meglio il concetto, anche se è un termine che non mi è mai piaciuto perché tra gli uomini non esistono “razze”, ma solo lingue, tradizioni e religioni diverse.
Martina Simone (Lince determinata)
Archivio mensile:febbraio 2016
Fratelli migranti
Ogni sera la notizie che ci provengono dal telegiornale ci pongono dinnanzi ad un roblema che ricorderemo tipico del nostro tempo. Gli esodi di massa che da ogni parte del mondo si muovono verso la nostra Europa già in declino ci interrogano seriamente sul significato dell’essere fratelli in un unico Dio e su come questo si traduca in risposta concreta e consapevole. Possiamo sentirci fratelli in Dio in senso ampio, piuttosto che in Cristo, che nello scautismo; ma ciò che ci renderà tali sarà sempre la capacità che avremo di rinunciare ad un nostro personale beneficio in ragione di un bene che va oltre a noi.
Tutto ciò per promuovere un mondo che più che piacerci sia giusto e che lo sia per tutti. È così nella Chiesa, è così nello scoutismo. Questo andiamo ad affermare con il nostro servizio, non altro. “lo scoutismo è una forma di fratellanza; cioè un movimento che non fa alcun caso, in pratica, a differenza di classe, religione, nazionalità o razza per lo spirito indefinibile che lo pervade, lo spirito del gentiluomo di Dio. Uno scout è amico di tutto il mondo ed un fratello di ogni altro scout. Il modo per avere un amico è di esserlo per qualcuno.” B.P.
Fabio Peruzzo
UNA TERRA UNA FAMIGLIA
La sindrome del nonno pantofolaio
Con un grande salto di Akela, all’inizio di questo anno scout, ho lasciato la Giungla e sono atterrato nel villaggio degli uomini: la branca EG. Un cambiamento di servizio inaspettato, accompagnato da molte curiosità: che cos’è il reparto oggi? Quali competenze mi occorrono per abitare la verde avventura? I ragazzi di oggi sono come ero io, come erano i miei compagni di reparto? A queste e a molte altre domande ho cercato di dare una risposta in questi primi tre mesi di attività.
È stato inevitabile paragonare la mia esperienza di reparto, di squadriglia, in generale di relazione, con l’esperienza vissuta oggi dagli esploratori e dalle guide del reparto Orione. Non posso dire di aver risposto a tutto, ma posso comunque proporvi una prima serie di considerazioni.
I ragazzi sono cambiati: pare un’affermazione scontata, ma occorrono delle precisazioni. Siamo un po’ tutti vittima, noi capi, della sindrome del nonno pantofolaio: “Non c’è più il reparto di una volta! Ai miei tempi…”. Veterani di innumerevoli campi invernali, di Pasqua ed estivi ci sentiamo forti nell’affermare il primato del reparto di allora contro la mediocrità del reparto di oggi. Non posso avere certezze, ma credo che si tratti soltanto di una questione di prospettiva. Ora che siamo noi i grandi, i ragazzi ci sembrano davvero piccoli. I ragazzi sono cambiati perché è mutato l’ambiente che vivono e perché i capi non sono più gli stessi. Ogni peggioramento, se c’è, è da ricondurre a questi due fattori. Esemplifico: quando ero io in reparto WhatsApp non esisteva ancora ed oggi la dinamica dei gruppi, delle visualizzazioni senza risposta e degli status influenza decisamente il modo in cui i ragazzi si relazionano (ecco allora il compito della Staff: leggere il fenomeno, tenere ciò che di buono c’è, buttare il superfluo…); quanto al fattore capi possiamo dire con saggezza Bellottiana: la squadriglia è lo specchio del capo squadriglia, il reparto è lo specchio dei capi reparto (da qui si deduce che ogni staff ha uno stile, predilige aspetti diversi dell’avventura scout e quindi, in definitiva, lascia un’impronta diversa).
Quanto alle competenze richieste al capo (in particolar modo in branca EG), penso che non serva molto più di quel bagaglio minimo costituito dalle capacità e dalla tecnica dell’uomo dei boschi (che il capo avente una formazione scout dovrebbe già possedere). B.-P. stesso ci ha tranquillizzato su questo punto: “vorrei smentire il diffuso preconcetto che, per essere un buon capo, uno debba essere una persona perfetta o un pozzo di scienza” (Il libro dei capi, capitolo I). Oltre a questo, oggi più che mai occorre ricordare la competenza fondamentale, ben sintetizzata da una frase del Papa che costituisce il tema di questo numero di Tuttoscout: “essere costruttori di ponti”, cioè essere abili tessitori di relazioni, essere capaci di arrivare a tutti e specialmente ai più lontani, ai più soli, ai più deboli.
Carlo Maria
Gli aquiloni vogliono volare
Coraggio.
Una vita senza sfide, senza ostacoli, non è degna di essere così chiamata.
Quando l’uomo si misura con le difficoltà che incontra, conosce un po’ di più sé stesso.
Cos’è una sfida?
È “Nostro Meglio”, “Eccomi”, “Estote Parati”.
È sogno, determinazione, obbiettivo.
È testa alta e maniche arrotolate.
Chi siamo noi, BoyScout, se non proprio coloro che perseguono i loro sogni senza mai lasciarsi fermare dagli ostacoli che incontriamo lungo la strada? Dobbiamo essere fieri di noi stessi! Costruiamo un piccolo Mondo, all’interno di uno più grande, in cui non ci sono soltanto parole; dove i sogni più belli non finiscono quando ci svegliamo la mattina, ma sono Aquiloni liberi di volare più in alto e superare l’Impossibile. Noi che abbiamo davvero il coraggio di far volare i nostri Aquiloni. In nove anni di scautismo mai come ora sono orgogliosa di far parte di questo “Noi”. Noi che non siamo tonni, ma salmoni che nuotano controcorrente; come mi direbbe il vecchio Akela.
Mi chiedo: che rumore fa la Felicità?
Felicità è realizzare un sogno; sogno è puntare il dito sulla vetta della montagna; la montagna è la nostra sfida preferita. Quindi, Signori, cosa stiamo aspettando? Scaliamole queste montagne, puntiamo la bussola verso i nostri aquiloni.
Dopotutto basta un pizzico di coraggio per mettere un piede fuori dalla porta.
Cigno Determinato
Che sia un muro o un ponte…
Se parliamo di idee, di concetti, un muro e un ponte sono due cose opposte: il muro divide, il ponte unisce. Se però cerchiamo una prospettiva un po’ più pratica della cosa ci accorgiamo che per quanto diversissimi tra loro un muro e un ponte hanno lo stesso inizio. Serve un punto fermo. “Campata per aria” è un modo di dire che indica una cosa senza fondamento: la campata è un elemento architettonico tipico del ponte, è quel pezzo di ponte tra due piloni o due colonne. Senza punto di appoggio la campata è “per aria”: non può reggersi, figurarsi far passare qualcuno. Anche un ponte di corde ha bisogno di una presa stabile, non c’è scampo (e non venite a propormi un ponte sostenuto dai palloncini!).
Se vogliamo costruire ponti ci serve dunque un punto stabile da cui partire: cosa sarà? E non mi dite Gesù, non è (ancora) la risposta giusta! Il punto stabile da cui partire siamo noi, è la nostra identità! Se il ponte deve collegare me e te devo sapere dove sono io, chi sono io! Non posso semplicemente lanciarmi verso di te con le dita incrociate: sarebbe una cosa “campata per aria”. Se vogliamo davvero costruire ponti dobbiamo partire da noi stessi, dalla nostra identità: la nostra identità di uomini e donne, di scout, di cristiani, di italiani.
Ma attenzione: un punto fermo può essere l’inizio di un ponte o di un muro. Il problema non è l’identità ma come ci si costruisce sopra. Se voglio alzarmi più in alto degli altri metterò i mattoni uno sopra l’altro: ecco un muro. Se voglio andare incontro all’altro metterò i mattoni uno a fianco all’altro: ecco un ponte. Ma se dimentico il punto fermo non importa come metto i miei mattoni: è tutto destinato a crollare.
Ed ecco l’augurio per il Natale: che ciascuno di voi possa trovare il punto fermo della sua vita, la stella polare per non perdere la direzione. Buon Natale!
Don Matteo
Due esempi di vita di rara bellezza
Se avessi una macchina del tempo organizzerei un incontro tra B.P. e P.F.
Sappiamo tutti chi è B.P.
Ma P.F.? Papa Francesco!
Sono entrambi due esempi di vita di rara bellezza.
B.P. ci esorta: “Cercate di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’avete trovato”
È una frase importante. Ma come si fa?
Il nostro amato Papa ci suggerisce dei modi possibili.
Il 13 giugno, durante l’udienza generale in San Pietro (e noi c’eravamo!) ci chiede un impegno: “Fate ponti, per favore. Col dialogo, fate ponti!”
Considerando inoltre che l’8 dicembre è iniziato l’Anno Santo dedicato alla misericordia ci siamo interrogati su cosa avremmo potuto fare di concreto.
Ecco perché noi coccinelle abbiamo deciso di creare un ponte con l’associazione “Casa Onesimo” di Busto Arsizio. È una struttura che offre ospitalità a rifugiati, ex detenuti e detenuti in fine pena con lo scopo di aiutarli in un inserimento nella società.
Abbiamo trascorso un pomeriggio magico! Non saprei come definirlo in altro modo!
Quando siamo arrivati siamo stati accolti da 3-4 ragazzi della struttura e da operatori e volontari che prestano lì il loro servizio.
Ci siamo seduti in cerchio, le cocci hanno loro offerto biscotti e cioccolatini e abbiamo iniziato a conoscerci.
Noi ci siamo presentati, ma la nostra era un normale racconto di un gruppo scout.
Quando loro si sono presentati, in varie lingue ci hanno raccontato di viaggi della speranza, famiglie disperse di cui non si avevano notizie, figli lontani, parenti sicuramente persi… a loro il merito di averlo fatto con rara delicatezza, ma vi assicuro che sentirlo dalla viva voce dei protagonisti è diverso che ascoltarlo al telegiornale!
Ma il bello è stato che subito dopo ci hanno detto di quanto erano felici di avere una speranza per il futuro, per esempio uno di loro vorrebbe diventare un rapper famoso e si è esibito per noi. A quel punto noi abbiamo rilanciato coinvolgendoli con le nostre bans ed era fantastico vedere come man mano si univano altre persone a noi e i sorrisi si moltiplicavano sempre più.
Inoltre le cocci hanno addobbato per loro due alberi di Natale!
Dopo un po’ di foto ricordo purtroppo era il momento di lasciarci: non dimenticherò mai quegli occhi pieni di gratitudine e quegli abbracci sinceri per il tempo e la gioia che avevamo condiviso con loro.
Sono sicura che anche questi piccoli gesti rendano il mondo migliore!
Mamma scotty
Telegrammi da Mafeking
Telegramma #3
Parla Mafeking: è Natale. Stop.
Fare l’albero in casa,
non sul fazzolettone. Stop.
firmato: bad boy.