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Hanno Lasciato Una Traccia- Egidio Bullesi

Egidio Bullesi

Apostolo tra i ragazzi di Azione Cattolica e Scout, giovane laico del Terz’Ordine francescano «Posso esclamare: ecco, la mia vita segue una stella; tutto il mondo, così, mi pare più bello». Egidio Bullesi. É il santo di cui nessuno fortunatamente s’accorgeva se non per il bene che riceveva e così ha continuato a passare per il mondo facendo del bene quale pellegrino, parlando ai singoli lungo la strada.

Nasce a Pola nel 1905, terzo di nove fratelli in una famiglia di modeste condizioni e allo scoppio della guerra è già profugo con la famiglia. Torna nel 1918 a Pola, dove fa l’apprendista in un cantiere navale, impegnandosi in un’opera di apostolato nel difficile ambiente di lavoro. In occasione di uno sciopero, nel 1920, innalza il tricolore sulle gru più alte. Con due fratelli, dà vita all’Associazione Cattolica della Parrocchia, e diventa animatore dei giovani Aspiranti di Azione Cattolica, ma dopo aver partecipato a Roma nel ’21 al Congresso Nazionale per il 50° di fondazione dell’Azione Cattolica vi ritorna carico di entusiasmo per lo Scautismo, ed è tra i promotori del Reparto Scout di Pola. A pochi giorni dalla festa del Corpus Domini, Egidio fremeva desiderando che, in quella grande solennità, i Giovani Esploratori cattolici potessero prender parte anch’essi alla processione, e in uniforme, anche per poter essere conosciuti dalla cittadinanza. Sotto le mani volenterose di signore e ragazze, con l’aiuto dello stesso Egidio in un paio di giorni le uniformi scout furono pronte.

Purtroppo, dopo cinque anni, il Decreto di scioglimento dello Scautismo distrusse presto quella gioia, e di fronte alla prepotenza del governo fascista gli Esploratori dovettero riporre le loro uniformi. Così il 9 febbraio 1927 Egidio scrive al fratello Giovanni (da La Spezia): “Puoi immaginare quale impressione mi fece la notizia dello scioglimento degli Esploratori. Ammirabile la vostra fortezza d’animo e la devozione al Vicario di Cristo, colla quale accoglieste sì dolorosa deliberazione. Ora, Giovanni, conservando uniti gli Esploratori, sarà bene costituire un Circolo a Panzano e federarlo alla Gioventù Cattolica, poi mantenere intatto lo spirito scautistico, evitando solo quello che può essere contrario alle intenzioni del Papa. E del resto continuare l’identica attività. Cercare quindi di tradurre in fatto il proverbio: l’abito non fa il monaco. Va bene?”.

Pur soffrendo profondamente per la chiusura del Reparto scout, Egidio continua a tenere “istruzioni”, ad animare giochi, a svolgere attività educativa… I ragazzi si sentivano felici con lui, e a lui ricorrevano per un consiglio, per un aiuto. Presta il servizio militare dal ’25 al ’27, come marinaio, svolgendo una vivace opera di apostolato tra i commilitoni. Dopo il congedo, lavora come disegnatore nel cantiere navale di Monfalcone, ma presto la malattia lo obbliga a continue cure. Per tubercolosi, il 29 Agosto 1928 si ricovera all’ospedale di Pola, dando, durante la lunga malattia, esempio di forza d’animo e serenità francescana, arrivando anche ad offrire la sua vita per i missionari. A 23 anni Egidio Bullesi “tornò alla Casa del Padre” il 25 Aprile 1929.

Nel 1997 la Chiesa lo riconosce come Venerabile. La Causa di Beatificazione è ora all’esame a Roma. Piace pensare che, forse, nella sua adesione allo Scautismo vi è anche l’intuizione di una “strada” provvidenziale, capace di portare gioiosamente i giovani al Padre… Sembrano infatti rivolte anche ai Capi dello Scautismo queste parole di Egidio: «Si tratta di salvare molte anime di fanciulli: si tratta di orientarle per tutta la vita verso Nostro Signore, verso il suo Cuore. Si tratta di dare all’Italia nostra la giovinezza di domani, forte e pura, colta e pia, si tratta di popolare il Cielo di Santi».

Le cicogne Klepetan e Malena: Un amore che supera la disabilità

Le cicogne Klepetan e Malena

In un piccolo villaggio della Croazia, Brodska Varos, ogni stagione, da 26 anni a questa parte, un maschio di cicogna torna dopo aver percorso 14 mila Km per ritrovare la sua amata, che purtroppo non può più volare. I protagonisti di questa bella storia sono due esemplari di cicogna bianca, Klepetan e Malena (che in croato significa “piccola”).
Malena è stata trovata nel 1993 dal guardiano di una scuola dentro uno stagno con un’ala spezzata, probabilmente da un colpo di fucile di un cacciatore; l’ha curata ma purtroppo non riesce più a volare. Tra queste due cicogne innamorate si trova Stjepan Vokicm, che ora è in pensione e si occupa di Malena durante l’inverno, poiché non è in grado di procurarsi da mangiare in modo autonomo.
Stjepan ha anche costruito una passerella affinché Malena possa raggiungere il nido che si trova sul tetto, poiché non potendo volare, le sarebbe impossibile. L’uomo si assicura che sia tutto pronto per l’arrivo di Klepetan, aiutandoli a procurarsi il cibo durante l’accoppiamento, poiché Klepetan sarebbe normalmente aiutato da Malena nel momento in cui devono cercare gli alimenti per i piccoli.
Malena e il suo salvatore vivono insieme e condividono le stesse passioni come andare a pescare e guardare la televisione. Durante i rigidi inverni croati la cicogna vive all’interno di un magazzino nel quale è stato ricreato un microclima adatto alle sue esigenze, con un sistema di riscaldamento, un acquario e un nido.
In primavera il guardiano inizia a preparare un grosso nido capace di accogliere i due innamorati e la loro futura nidiata. E anche quest’anno Klepetan è ritornato da Malena e rimarrà con lei fino a quando non sarà riuscito ad insegnare a tutti i suoi piccoli a volare cosicché possano migrare con lui.
A Klepetan è stato messo un anello di rilevamento in modo tale da monitorare i suoi lunghi viaggi migratori, ed è così che sono riusciti ad identificare la sua residenza invernale, Città del Capo nella Repubblica Sudafricana.
Le cicogne sono da sempre considerate un simbolo di fertilità, ma da dove ha origine questa storia? Tutto nasce in Europa, e sembra quasi una favola, dove le cicogne erano molto numerose ed erano solite costruire i propri nidi sui tetti delle case. Ma un tempo, a causa della grande povertà, i camini venivano accesi solo quando nasceva un bambino e così le cicogne in primavera, ritornando dall’Africa, erano attirate dal caldo dei comignoli e nidificavano proprio lì. Questo è il motivo per cui le cicogne sono state associate all’arrivo di un neonato.
t. r.

BLOG DE PAPEL-Episodio II: La rete e le strade

Gli antichi romani l’avevano capito bene: una società per funzionare ha bisogno di essere connessa e scambiare informazioni in modo facile e veloce. Per questo l’Impero Romano era tessuto di strade fatte ad arte (tanto che molte rimangono tutt’oggi visibili), ponti e gallerie. Su queste strade correvano (anzi, galoppavano) le notizie, gli ordini, le merci… e gli eserciti.
Anche il nostro corpo funziona così: al nostro interno si intrecciano nervi e vasi sanguigni che raggiungono ogni nostra estremità e profondità. Così è pure la rete del Web, di Internet, dei social e delle app: reti invisibili ci collegano in (quasi) ogni parte del globo e le informazioni che viaggiano sui fili immateriali di questa rete sono quasi istantanee. Ormai è così facile e veloce scambiare notizie, ordini, merci e quant’altro tramite la rete che siamo sempre più convinti di aver creato un nuovo mondo molto più facile da abitare rispetto a quello “vero”, in cui bisogna alzarsi, prendere, fare, sbrigare…
Eppure, le vie della rete non fanno cose molto diverse da quelle degli imperatori romani: ci collegano, ci connettono, ci mettono agli estremi opposti di qualcosa; ma non possono avvicinarci. Certo, tutto quello che fanno lo fanno meglio delle strade: ci connettono più facilmente, in meno tempo, in modo più intenso e diretto. Chi direbbe che è meglio affidare un pezzo di carta ad un tizio a cavallo per farlo recapitare a giorni e giorni di distanza, piuttosto che mandare un vocale su WhatsApp? La risposta è scontata ma, nonostante questo, ancora non possiamo usare i social per accorciare le distanze.

Vi ho già raccontato di come, da quando ero alle elementari al mio arrivo alle medie, in casa mia si è passati dal telefono con la cornetta (di cui allego una foto, nel caso qualcuno dei nostri fratellini e sorelline non ne abbia mai visto uno), al “fisso senza fili” (il cordless), al primo cellulare di mio padre (con gli SMS, i “messaggini”) e poi di colpo Internet in casa con Windows Explorer e una mail che dava accesso ad un servizio di chat. Di colpo (e intendo proprio di colpo, tipo e-Dio-disse-luce-e-luce-fu) potevo fare i compiti con i compagni di classe e partecipare al funerale del criceto di un mio squadrigliere (ciao Pier, sono sicuro che Wolverine ti vuole ancora bene, ovunque sia). Tutto questo, che oggi ci pare automatico e scontato, ci ha dato il potere di essere “con”, ma non ancora quello di essere “lì”. Corriamo il rischio di fare confusione perché il coinvolgimento e le emozioni che proviamo quando siamo connessi con persone care o sconosciute, sia in momenti di gioia che di sofferenza, può essere grande. Non dobbiamo mai dimenticare, però, che essere coinvolti spesso non basta: bisogna essere partecipi!
Quando esprimiamo solidarietà sui social a qualche persona che sappiamo essere in difficoltà o quando condividiamo notizie “indignate” stiamo agendo sulla base dell’informazione… ma è l’azione che manca!

Allora ecco che, pur col passare dei millenni, abbiamo un unico modo per avvicinarci agli altri e partecipare alla loro vita, alla loro gioia o dolore, alla loro sfida: dobbiamo metterci le scarpe e imparare la strada e andare verso il “prossimo” per renderlo davvero tale.

Continuate a seguirci e fateci sapere cosa ne pensate per le prossime puntate di Blog de Papel!
#BlogDePapel #ConnessiMaLontani #FarsiProssimi #LaReteELeStrade
Caster

La notte che mi ha accolto

Una notte di gennaio, di qualche settimana fa, verso le 23:30 si è aperta la “rupe del consiglio” per far fare la promessa ai cuccioli. I cuccioli sono i nuovi arrivati ed io ero uno di loro. Come un cucciolo che per crescere ha bisogno di essere voluto, accettato e “accudito” nel branco così io lo avrei desiderato per me. Il mio branco è l’Albero del Dhak. E il giorno della promessa, tanto atteso, mi avrebbe fatto diventare parte del branco a tutti gli effetti.
Continuavo a ripetere nella mia mente, per paura di dimenticarle, le parole che avrei dovuto pronunciare davanti ad un capo. Chissà quale capo mi sarebbe capitato, pensavo.
A concentrarmi, però, mi ha aiutato il mio capo sistiglia che mi ha sostenuto (oltre che interrogato!), incoraggiato e accompagnato davanti ai vecchi lupi.
Avevo il cuore in gola, eccitato ad ogni passo, felice e fiero allo stesso tempo mentre pronunciavo la promessa. Poi mi hanno annodato il fazzolettone al collo e mi sono sentito finalmente dentro il branco!
In un’unica notte ho sperimentato uguaglianza e inclusione: la promessa ci rende tutti uguali all’interno del branco e allo stesso tempo consente di farne parte.
L’uguaglianza non appartiene solo agli scout, è di tutti perché tutte le persone vorrebbero avere una vita felice, proprio come ha detto Don Bosco: “Vi voglio felici adesso e per tutta l’eternità”.
Questo desiderio che è di tutti, ci rende tutti uguali.
Come essere felici?
La mia risposta è di avere una famiglia, di essere amato e di aprirsi agli altri.
Aprirsi agli altri non è sempre facile. Con gli scout sono aiutato a farmi conoscere e a conoscere gli altri perché condividiamo il tempo insieme e le stesse cose che si fanno se le facessi da solo non sarebbero così belle e divertenti.
Ognuno di noi colora con la propria tonalità il gruppo ma quando riusciamo ad essere vicini gli uni agli altri si forma un arcobaleno… siamo tutti fatti di-versi perché siamo poesia.

Pietro Spoletini,
Nicolina De Minico

Orzowei

Branco Albero del Dhak

Vorrei parlarvi di inclusione raccontandovi di un libro che ho letto poche settimane fa.
Il libro si intitola Orzowei e parla di un ragazzo bianco che venne abbandonato da piccolo in una foresta abitata da popolazioni africane.
Una di queste popolazioni (gli Swazi) trovò il bambino e lo chiamo Orzowei che significa “il trovato”.
Orzowei crebbe tra gli Swazi venendo maltrattato e insultato per via del colore della sua pelle, troppo chiara. Fortunatamente un giorno, mentre era nel bosco, incontrò un guerriero di una popolazione nemica che non volle ucciderlo e lo portò nel suo villaggio e lo crebbe come un figlio. Orzowei in questo villaggio venne incluso dalla popolazione che non fece differenze e venne accettato pur avendo la pelle più chiara.
«Forse è uno Swazi, o un bianco, o uno del piccolo popolo. È tutti e tre, o forse nessuno dei tre. Eppure io ho visto: boscimani, negri, bianchi sono stati capaci di amarlo e di sacrificarsi per lui quando lo hanno conosciuto. Ed egli ha amato tutti. Ecco: quando ci conosciamo, anche se la nostra pelle è di un altro colore, ci amiamo.»

 
Vera Quintana

Visita al “binario 21”

Io, i miei capi e i Cda del mio branco, domenica 2 febbraio, siamo andati a vedere il museo della Shoah, a Milano, in stazione centrale. C’ero già stato con la scuola, ed è stato interessante, rivederlo.La guida è stata molto brava e ci ha spiegato tutto quello che è successo in quegli anni. Ho pensato a tutte quelle persone che sono partite dal binari 21 della stazione e che non sono più tornate.

 
Matteo Ranghetti

 

E’stata molto bella, questa uscita coi Cda del mio branco, però avrei voluto che durasse di più. Siamo andati a visitare il museo memoriale della Shoah, e ho scoperto molte cose che non sapevo: quando l’8 settembre del 1943, in Italia, era uscita la notizia che tutti i soldati italiani dovevano stare dalla parte degli americani e dovevano combattere contro i tedeschi. In realtà, l’8 settembre, non è la data giusta, perché il Re Vittorio Emanuele e Mussolini, avevano deciso questa cosa, cinque giorni prima, ma il Re aveva fatto pubblicare la notizia dopo, così lui ha avuto il tempo di scappare in Puglia. Questa notizia mi ha scioccato molto.

Silvia Setti

Memoriale

09

Domenica 2 febbraio, mi preparo lo zaino, andiamo in stazione. Piano piano iniziano ad arrivare i fratelli del branco Tiko, è un’uscita Cda!
Prendiamo i biglietti e saliamo in treno. Sembra un set fotografico, sì, perché le mie amiche hanno preso la macchina fotografica, ed io e Silvia, facciamo le foto.

Parliamo e parliamo, del 27 gennaio, delle donne durante la deportazione.
Scendiamo dal treno e andiamo nella cappella della stazione centrale di Milano, assistiamo alla messa e Don Germano, ci chiede di leggere e fare i chierichetti.

 
È stato bello! Il sacerdote, molto anziano, ci ha riempito di dolci che abbiamo mangiato tutti insieme, vicino ad una fontanella.Acqua fresca, quello che ci vuole!
Arriviamo nei sotterranei della stazione, al Memoriale! Il mio sogno si è avverato!
Vedo la frase del monumento all’entrata, “Indifferenza”, un treno sul binario 21, da dove deportavano le persone, sino ai campi di concentramento.
Abbiamo visitato tutto il museo.
Finisco con questa frase “Ricorda di ricordare”.

 
Sara Romano

Inclusione

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Inclusione, una parola usata la maggior parte delle volte, senza sapere il suo significato. Ecco come la spiego io. Immaginate di essere un bambino, ragazzo, appena arrivato in una nuova scuola o in un nuovo sport, come vi sentireste se nessuno vi salutasse e se nessuno giocasse con voi. Ecco, le persone che ti sono amiche, ti includono. Vi consiglio di essere come loro e di pensare se ci foste voi dall’altra parte.
Sveva Simone

Barriere da abbattere

Molto spesso si parla di diversità affermando che essa non debba esistere e che l’uguaglianza debba prevalere. Si parla di diversità in modo negativo, associando spesso questa parola a gesti e parole discriminatorie. “Se non sei come me non puoi…” penso sia una delle frasi più brutte che si possano pronunciare.

È una frase che io ritengo senza significato poiché implicherebbe a significare che c’è una sola persona “diversa” dal resto del mondo il che è assolutamente falso.

Mi chiedo come si possa pensare che siamo tutti uguali mentre non è chiaramente così e abbiamo diverse dimostrazioni: se tutti fossimo uguali nessuno dovrebbe morire a causa di un naufragio solo perché stava cercando una vita migliore e l’unico modo per farlo era imbarcarsi su un barcone non sicuro, nessuno dovrebbe essere escluso ed emarginato solo perché ha il coraggio di dire quello che pensa nonostante vada contro ciò che la maggior parte del gruppo afferma, nessuno dovrebbe soffrire la fame e nessuno dovrebbe sentirsi sbagliato a causa di qualche particolare disabilità o incapacità.

Non siamo tutti uguali e penso sia una fortuna e quindi, al posto di pensare all’ “uguaglianza” e a come trasformare tutti quanti in sosia identici privi di caratteristiche individuali e speciali, dovremmo pensare all’ “equità” che, purtroppo, è ancora troppo rara. Dovremmo provare a fare qualcosa per fornire a tutti gli stessi diritti, aiutare chi è più debole, non costruire delle barriere tra chi ha bisogno e chi, invece, sta bene e continua a fare una vita in cui le difficoltà si riescono ad affrontare anche grazie al fatto di non aver delle particolarità che impediscano alla società di vederlo “normale”.

Penso che lo scoutismo aiuti ad aprire la mente e a trasmettere questi valori permettendo l’inclusione all’interno dei vari gruppi di chiunque abbia voglia di mettersi in gioco e a entrare a far parte di una comunità che cambia la vita di chi vi partecipa. Ciò che viene insegnato sin dalle prime attività nei castorini, sono delle abilità personali che poi entrano a far parte della nostra quotidianità senza nemmeno rendercene conto e penso sia nostro compito trasmettere tutto quello che impariamo a chi non ha l’opportunità e la fortuna di partecipare ad un progetto grande e importante come quello che B.P. ci ha offerto, così da restituire un po’ di umanità a questo mondo che, troppo spesso, è tremendamente crudele.

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