Archivio mensile:dicembre 2015

Edilizia cordiale

03Non ero in Piazza San Pietro il 13 Giugno ma incollata davanti alla TV per cercare di vivere quell’esperienza incredibile…
La prima cosa che mi è venuto in mente quando il Papa ha cominciato il suo discorso invitandoci, anche me, a costruire ponti è stato Erri de Luca. Non so perché, ma ho pensato a quel suo “L’unica opera edilizia cordiale è il ponte che invece di dividere vuole unire, nel collegare scavalca le rivalità; parola che proviene, appunto, dallo stare in due rive opposte. Quindi per me i ponti sono dei punti di sutura
Rileggendo il discorso nei giorni seguenti l’udienza e oggi, mi rendo conto che c’è di più di quella emozione del momento. Mi viene fatta una chiamata precisa ad atti fattivi.
Penso che il Papa abbia voluto richiamare la mia attenzione in qualità di membro attivo di una comunità capi. Non mi ha fatto un invito astratto, poetico ma al contrario molto concreto e ben contestualizzato. Mi ha detto che “sono una ricchezza della Chiesa; che lo Spirito Santo suscita per evangelizzare tutti gli ambienti e settori”. Non si limita a chiedermi di fare qualcosa. Molto di più. Mi chiama ad adoperarmi per far scattare un’esperienza significativa a chi mi sta intorno, come parte integrante della Chiesa. Mi ricorda di non accontentarmi di essere una presenza decorativa alla domenica o nelle grandi circostanze.
Ho fatto fatica a capire, sono sincera. Solo ultimamente credo di aver appreso un pochino meglio cosa intendesse, anche grazie ad incontri speciali e inattesi dove il verbo “suscitare” è continuato a tornare ancora e ancora.
Il Papa mi ha voluto ricordare un insegnamento antico come la Chiesa, in cui i suoi ’pontefici’ (dal latino pontifex, cioè ’costruttori’ di ponti pensa un po’…) sono i primi garanti dell’eredità lasciataci da Gesù in persona. Il Papa non fa altro che riprendere quanto già cominciato da Gesù, gli apostoli, San Paolo… mi invita ad impegnarmi in prima persona nella ricerca della relazione autentica, della verità che rende liberi. La relazione tra me e Gesù prima di tutto, che una volta “stabilita”, non può che aprirsi a chi mi sta accanto. Proprio come è successo ai discepoli che una volta che Gesù non c’era più, lo hanno cercato rimettendo in gioco la loro personale esperienza con Lui.
Non è una cosa facile, mi costa qualche fatica son sincera. Il Papa continua a ricordarmi che Gesù mi aspetta a braccia aperte per incontrarmi e mi manda ad incontrare gli altri, il resto della Chiesa come me. Mi chiede di scegliere di voler bene, cioè di volere il bene di chi mi cammina accanto e a cui io cammino accanto. Ma non basta, questa relazione se autentica non può che sconfinare i muri del macello, della mia casa, della mia famiglia… devo portarla nella comunità perché se la rinchiudo nella mia unità o in CoCa, rischia di rimanere davvero solo una presenza decorativa. Presenza di cui non posso, non voglio accontentarmi.
Non so se sarò in grado ma posso provarci. Anzi no, voglio proprio provarci mettendo in conto di prendere qualche cantonata contro quel brutto muro che è il mio orgoglio. Voglio provarci davvero, armandomi del coraggio di dare quei punti di sutura dove creo dissapore e lacerazioni, di scarpe adatte al lungo cammino che mi aspetta e di un’ocarina per non smettere di ridere e sorridere, anche di me.
Chi mi accompagna? Almeno per un pezzetto…

Panda Espansivo

Una strada speciale

Consacrazione della cappellina costruita dal noviziato Consacrazione della cappellina costruita dal noviziato Gnothi Seautòn
Consacrazione della cappellina costruita dal noviziato Gnothi Seautòn

Si sa: per gli scout la “strada” non è solo un elemento del paesaggio, non è solo un metrodi asfalto tra due palazzi, non è solo un piede di terra battuta che scala una montagna. Strada è cammino, scelta, esperienza, vita.
Ebbene, cari scout: è giunto il momento, come ogni anno, di mettersi a camminare su una strada un po’ speciale. È una strada un po’ fangosa e non molto curata, è una strada vecchia, vecchissima. È una strada che tanti hanno calpestato eppure quando la affronti ti sembra di essere il primo. È una strada sulla quale si incontrano volti e storie della tua vita di tutti i giorni, ma in modo nuovo e speciale. È la strada che hanno percorso per primi i pastori, poi i magi e poi tutti gli uomini di buona volontà. È una strada che conduce a un incontro: un incontro che cambia la vita.
È l’Avvento: la strada che ci porta al Natale.
Eppure anche quest’anno, come ogni anno, corriamo un rischio. Che non è il rischio della fatica o del brutto tempo: uno scout sa che questi non sono veri problemi sulla strada. No, il rischio è di non metterci in cammino: di lasciarci frenare dalle paure (Non sono capace! E se poi è troppo difficile?), dai dubbi (Ma non so cosa devo fare! Come si fa?), dalla comodità (Non ne ho voglia! E poi a cosa mi serve?). Vi dico solo una cosa: siate scout! Se vi vengono alla mente questi pensieri fate un sorriso e rimboccatevi le maniche: c’è strada da fare. C’è strada da fare con i vostri fratelli e sorelle scout, c’è strada da fare nelle vostre parrocchie, c’è strada da fare con gli amici e in famiglia.
Zaino in spalla e… siamo già in cammino!
Don Matteo

Telegrammi da Mafeking: il senso della rubrica

A causa di un fraintendimento (capita anche nelle migliori redazioni!) lo scorso numero è stato mandato in stampa senza l’introduzione alla nuova rubrica “Telegrammi da Mafeking”. Ci scusiamo e provvediamo qui di seguito.

Lo Scoutismo è sotto assedio sin da quando è nato. Questo non ci preoccupa. Dal 1907 affrontiamo gli assedi modello Mafeking: 1000 uomini contro 9000 e teniamo duro.
Quel che ci preoccupa sono i “cucù e i ciarlatani”. Quelli che “lo Scoutismo è democratico”, ma si fa come dico io. Quelli che “aspettate, dobbiamo fare un progetto”, così adesso non mi devo impegnare. Quelli che “non dobbiamo scordarci la nostra identità”, e non hanno mai letto Scautismo per ragazzi.
Tuttavia pre-occuparsi è inutile. Noi ci occupiamo di vivere lo Scoutismo semplice che entra dai piedi e proviamo a concentrarlo in poche parole, in una o due frasi: la tanto ricercata essenzialità! Chissà, forse potremo provocare qualche utile riflessione anche se, lo sappiamo, rischieremo di essere additati come quei pazzi che credono ancora che in route si cammina, che l’uscita di reparto è all’aria aperta e che i lupetti arrivano in cerchio correndo e cantando.

Insomma, lo scopo è ribadire tre cose:
1) “Lo Scoutismo è impegnativo, parecchio: serio, compromettente; chi non vuole dar tutto, il dilettante, gli artisti del” doppio gioco “non sono fatti per noi. Saremo sempre minoranza, è scontato in partenza: ma sono sempre state le minoranze a fare la storia” (Baden, Al ritmo dei passi, p. 133)
2) Lo Scoutismo è un gioco per i ragazzi, diretto dai ragazzi. E noi capi giochiamo con loro.
3) La seconda cosa non è in contrasto con la prima cosa.
Qui Forte Mafeking: ESTOTE PARATI!
Bad Boy

Cosa significa partire

Matteo SQuando arrivi ad un momento della tua vita in cui decidi che è l’ora di fare il passo successivo (anzi, una vera e propria svolta), bene, è questo il momento per iniziare un cammino che ti porterà a fare delle scelte. Non hai di che preoccuparti: questo cammino non lo svolgerai da solo, anzi ci saranno le persone a te più care e i capi che ti sapranno consigliare ciò che secondo loro è il meglio per te – ma scegliere spetterà a te, mio caro lettore! In questo breve articolo ti racconterò la mia esperienza verso la Partenza e ti racconterò le sensazioni che ho provato al momento in cui ho vissuto la Partenza sulla mia pelle.
È cominciato tutto circa un anno fa, subito dopo la mitica Route Nazionale, quando iniziai a parlarne con il mio capo clan, e da lì il cammino è proseguito… Mi sono ritrovato a fare molte scelte, una fra tutte quella di partecipare ad una ROSS* (che ti consiglio caldamente): questo evento ha fatto sì che le certezze che avevo venissero messe in discussione.
Un altro grande contributo alla mia crescita è stato quello dei capi clan, con i loro stimoli mirati per migliorare sempre di più; ammetto che alcune scelte di cambiamento in certi momenti le ho rimpiante, però una volta giunto alla Partenza le fatiche sono state ripagate dalla soddisfazione che ti dà un momento simile.
La Partenza è uno dei momenti più belli della vita di uno scout, dove il partente è chiamato ad aprirsi e a raccontarsi tramite un’attività curata da lui; finita la cerimonia inizia la parte che a parer mio è la più bella in assoluto: quella dell’hike, dove ci sei solo tu e le direttive che ti lasciano i capi dentro una busta bianca. In un primo momento ho provato una sensazione di malinconia, ma subito dopo questo sentimento si azzera e poi inizi a meditare sul percorso scautistico che ti ha portato fin lì. E pensi alle persone che ti sono state vicine o che semplicemente hai avuto la possibilità di incontrare grazie allo scautismo.
Per concludere, la Partenza è il culmine di un cammino iniziato al momento in cui hai messo piede per la prima volta in sede; la Partenza vuol dire fare delle scelte e prendere una posizione… Questo ti porterà a scelte a volte scomode, però il risultato finale volge sempre a tuo favore!
Matteo Squizzato
(Mastino Grintoso)

*ROSS: Route d’Orientamento alla Scelta di Servizio

Ti serve una pacca sulla spalla, Charlie Brown!

Novembre è finalmente arrivato, ed ha portato con sé un cielo quasi sempre plumbeo e raffiche di freddo che solo i più coraggiosi, o i meglio coperti, si azzardano ad affrontare.
Ma non tutto è perduto, se infatti le avventure fruibili all’esterno diventano meno numerose per via del clima freddo, ecco che vengono in nostro soccorso le avventure create dalla fantasia, sotto forma di un buon libro o, perché no, di un nuovo film in uscita che la pubblicità preme a non farci dimenticare.
Questo mese pare infatti particolarmente ricco di titoli che avranno sicuramente forte presa sul pubblico, come i nuovi film di Hunger Games, James Bond, il nuovo film della Pixar coi dinosauri, e tutto questo senza scomodare il gigante “Star wars: episodio VII” in uscita a Dicembre.
Tra tutti questi film, però, uno in particolare ha stimolato la mia attenzione e la mia curiosità, cioè il film dei Peanuts.
Che, per quelli forse più giovani che non lo sanno, non sono delle arachidi ma bensì il nome collettivo col quale ci si riferisce a Charlie Brown, Linus, Lucy Van Pelt, Piperita Patty e naturalmente il turbolento bracchetto Snoopy.
L’elemento che più mi preoccupa, di questo lungometraggio che sembra ruotare attorno alla figura di Charlie Brown, è che il bambino protagonista possa… vincere.
Non fraintendetemi, non provo uno strano, sadico piacere nel vedere il giovane padrone di Snoopy fallire, ma la verità è che il forte del personaggio di Charlie Brown, quello cioè che gli ha permesso di conquistarsi un cantuccio fisso nel cuore di milioni di lettori, e che rende così facile immedesimarsi in lui è proprio questo: il fatto che debba sempre rapportarsi con la sconfitta, come spesso è capitato di dover fare anche a noi. Con però l’immancabile appendice, piccola ma fondamentale, che Charlie Brown non si arrende mai.
Proprio questo è il bello del bambino dalla testa rotonda, che non importa che la sua migliore amica gli tolga il pallone da rugby da sotto i piedi, che il suo migliore amico preferisca lottare con Snoopy per una coperta piuttosto che giocare con lui, quante partite di Baseball siano state sospese per pioggia o quanti aquiloni gli siano stati divorati dall’albero dietro casa, lui continua imperterrito, e forse (ma in maniera del tutto personale) addirittura fiducioso, ad affrontare il futuro a testa alta.
Del resto, Charlie Brown non è veramente un fallito. è il capitano della squadra di baseball del quartiere, ha un sacco di amici che (benché a modo loro) gli vogliono un gran bene, e l’unica volta che si è allontanato dal suo quartiere, per andare al campo estivo, ha avuto un successo strepitoso (benché con un sacchetto di carta in testa).
Il problema è che Charlie Brown non riesce a vedere tutte queste sue vittorie perché, a differenza di quanto accade negli altri fumetti, e come invece succede quasi sempre nella vita reale, nessuno gli dice quando ha conseguito una vittoria. Nessuna medaglia, nessun banchetto, nessuna premiazione. A volte neanche un complimento, solo la soddisfazione di aver fatto del proprio meglio.
Ma, almeno sotto questo punto di vista, noi scout abbiamo la nostra personalissima soluzione al problema. Ogni pagina di questo Tuttoscout è piena di facce colorate di ragazzi e ragazze a cui è appena stato detto, sopra alla traballante pedana lignea di un ponte, che ce l’hanno fatta; che hanno portato a compimento qualcosa, e che ora qualcosa di ancora più grande li attende*.
Questa è la vera magia dei passaggi, che con la loro fisicità, con la loro mera presenza, permettono a tutti noi di vedere fin dove siamo arrivati nel nostro percorso, e quanto ancora possiamo intraprendere.
Chissà, forse se Lucy si fosse avvicinata un giorno al nostro eroe in maglietta gialla, dicendogli “Complimenti, sei il nuovo capitano della squadra di baseball, Charlie Brown!” il bambino avrebbe guardato al futuro con un po’ più di ottimismo, conscio dei risultati raggiunti.
O, più probabilmente, Lucy avrebbe aggiunto subito dopo “Ora non ti resta che diventare un buon capitano” ma sono sicuro che il padroncino di Snoopy non si sarebbe fatto abbattere più di tanto perché, inavvertitamente, Charlie Brown segue nella sua vita quotidiana quello che è uno dei miei punti preferiti della legge, che insegna a ridere e cantare anche nelle difficoltà.
Che, forse con qualche “misericordia!” in più, è esattamente quello che Charlie Brown ha sempre fatto, e sempre continuerà a fare.

 

Tricheco Birbante

 

*Il numero cartaceo di novembre del Tuttoscout è dedicato anche alle immagini di coloro che hanno compiuto un “passaggio” di branca.

Sii tutto ciò che puoi essere

Quando ci viene detto di “fare tutto ciò che possiamo” per raggiungere un certo obbiettivo di solito ci sentiamo, quantomeno, a disagio. Penso che sia la parola “tutto” a spaventarci: noi umani siamo spesso in soggezione davanti a questo “tutto” che vediamo incomberci addosso come un’onda anomala che rompe gli argini della nostra piccola baia di “abbastanza” e “almeno”.
Quando sentiamo “tutto” spesso una parte di noi pensa, forse senza che ce ne accorgiamo, “ma proprio tutto tutto tutto?
Ma dietro ogni paura c’è sempre un desiderio e, in effetti, quanto ci piacerebbe essere tutto quello che vogliamo?
Io, come immagino tanti di voi, ho molti sogni e ci sono tante cose che vorrei fare, ma devo sempre cedere al tempo, alle possibilità, alla stanchezza… Vorrei, oltre a essere studente e capo in reparto, essere un suonatore di armonica, un giocare di baseball ogni tanto e un viaggiatore; vorrei anche seguire un bel corso di recitazione o di canto, costruire modellini come facevo da bambino…
Io, voi e ogni altro, prima o poi, finiamo, nel senso che non riusciamo mai ad arrivare a quel “tutto” che, in fondo, in fondo, ci piacerebbe. Per quanto penso che a rendere difficile la massima del titolo non sia la parola “tutto”, ma la parola “puoi”, che è sempre un compromesso tra un “vuoi” e un “devi”.
“Compromesso” è un’altra parola che tendiamo a evitare perché sì, ci fa ottenere ciò che volevamo o qualcosa di molo simile, ma ci chiede anche di rinunciare a qualcos’altro, cosa che non piace praticamente mai!

Per riuscire a superare questo litigio tra il “vuoi”, il “puoi” e il “devi” è utile usare una cosa il cui nome è diventato così fastidioso ai nostri orecchi che non lo si sente quasi più usare: la disciplina.
Feeeermi tutti! Aspettate! So già che c’è chi alza lo sguardo spazientito e chi sta già per voltare pagina, ma, vi prego, datemi il tempo di spiegarmi: questa parola ci fa venire in mente sergenti dei marines che urlano a squarciagola, generali con il frustino, parate militari, ordini perentori e “Signorsì!”, ma questa è una disciplina pensata per far fare quello che vogliono gli altri mentre io vorrei parlarvi di una disciplina per farci fare quello che vogliamo noi.
È un concetto più “orientale” o, se volete, più “sportivo” o, meglio ancora, più “scout”; è l’idea di darsi da sé degli obbiettivi e delle regole da seguire per raggiungerli. In un certo senso è più difficile seguire questa disciplina perché spetta tutto a noi e non c’è nessuno che ci obbliga, che ci sta con il fiato sul collo per costringerci, ma è la disciplina della libertà.
Pensando a dove vogliamo arrivare, capiamo come dobbiamo muoverci e che regole darci per fare, in ogni momento, quello che possiamo per avvicinarci alla meta lungo la strada verso il successo.
Geco Coinvolgente

Sono tornato in clan: di nuovo sull’essere adulti

Al termine di una giornata lunga, mi si fa incontro un pensiero breve. In un recente articolo scrivevo di come durante un incontro regionale, noi giovani capi siamo stati posti in guardia proprio su quel che credevamo essere un punto di forza: la nostra età. Ventenni o poco più, ci dicevano, siete chiamati ad essere adulti e non più giovani.
Una settimana fa, in barba a questo ammonimento, ho deciso di partecipare ad un incontro per i “giovani della parrocchia”. Ebbene sì, l’ho fatto. Si trattava di un incontro di catechesi sulla beatitudine della misericordia (“Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia” Mt 5,7), ribattezzabile “l’altra faccia della misericordia: la giustizia”: se ne parla tanto e se ne parlerà ancora, ma non è ciò di cui voglio parlare ora.
Per un attimo mi è sembrato di tornare in clan: c’era il capo clan che parlava (il don) e un gruppo numeroso di r/s (“i giovani”) che lo ascoltavano in attesa di una qualche illuminazione. Inviti a partecipare alla discussione, domande provocatorie… e nessuno parla. Ad un certo punto mi sono detto: sarebbe un buon momento per un ban! Mi guardo intorno ma niente: non c’è traccia della pattuglia menate. A dirla tutta non c’è traccia di alcuna pattuglia o gruppo, che dir si voglia, che si sia preso in carico l’animazione di questo o quel momento della serata. Tutto dipendeva dal capo (il don): esattamente la situazione che, ci diciamo sempre soprattutto in branca RS, non dovrebbe verificarsi.
Di nuovo scruto i volti di questi giovani, la maggior parte dei quali ben oltre l’età della Partenza: vedo diversi studenti universitari, alcuni lavoratori; in particolare vedo adulti costretti ad essere etichettati ancora come giovani, potenziali capi scout (deformazione professionale), potenziali responsabili in qualche associazione di volontariato… E ringrazio la mia Associazione, che compiuti i 21 anni mi dice: tu sei pronto e lo devi rimanere sempre (“estote parati”), vai nel mondo e costruisci qualcosa di buono. La mia Associazione e la mia Co. Ca. si fidano di me e mi affidano un compito immane: contribuire alla crescita di oltre trenta ragazzi. Una responsabilità che solo con l’aiuto di Dio possiamo effettivamente ed efficacemente sostenere.
Chiedo scusa agli amici del “gruppo giovani”: certamente in ambito oratoriano avranno tutti modo di fare servizio e spendere il proprio tempo per gli altri assumendosi responsabilità importanti. Ho soltanto preso spunto da una situazione per svolgere un discorso più ampio. A proposito di ampiezza, occorre fare alcune precisazioni:
1) Quando ci diciamo adulti non significa che dobbiamo abbandonare quella serie di vantaggi, quella freschezza che ci deriva dal poter spegnere ancora a fiato -e non con un idrante- le candeline sulla nostra torta di compleanno. Quel che conta, si sa, è lo spirito: per questo gli adulti non sono necessariamente vecchi e i vecchi non sono per forza decrepiti.
2) Per la nostra Associazione, prima di diventare capi noi siamo adulti sì, ma “in formazione”. L’adulto quindi (ma neanche il capo io credo) non può dirsi arrivato: gli occorre una formazione di base e una formazione continua, da curare con attenzione.
Doveva essere un pensiero breve, perdonatemi.

Carlo Maria

Branca, branca, branca… (leon, leon, leon)

Udite, udite, signori, vassalli e messeri. Oggi, qui vi narro una storia singolare, di un’armata Brancaleone dai componenti più disparati, riunitisi per partire alla volta del ridente feudo di Kandersteg.
Suona strano? Ebbene, garantisco che è accaduto, proprio l’agosto scorso, quando non due, ma ben tre comunità diverse: clan Zenit, clan Nadir e noviziato Gnothi Seauton (o forse dovrei dire 40 persone diverse), si sono messe in cammino, insieme, per diventare una.
Alcuni visi sono nuovi, altri conosciuti molto superficialmente, ma soprattutto sono davvero tanti. Una moltitudine che fa quasi paura.
Non mancano le esitazioni e anche un po’ di iniziale diffidenza, ma ormai siamo sulla strada e passo dopo passo, si avvia un discorso, si scoprono cose in comune, ci si conosce, oppure ci si ritrova come vecchi compagni di avventure e il clima si fa già più disteso.
È risaputo come la strada, ma soprattutto le difficoltà che essa comporta, temprino e uniscano gli animi.
Può sembrare paradossale, ma ritrovarsi a cantare sguaiatamente su un sentiero buio di montagna, alle undici di sera, con lo stomaco vuoto, il viso scottato, le spalle dolenti, i piedi consumati dagli infiniti chilometri, le salite e le discese, lega molto di più di cento serate alla discoteca Minimal (senza nulla togliere ai nostri PR).
E poi l’esperienza di Kandersteg: un’altra marmellata di culture, lingue, uniformi colorate. È il nostro piccolo Jamboree, la nostra esperienza internazionale, con un pensiero rivolto a chi invece è davvero in Giappone. Ci sono scout dall’Inghilterra, dal Portogallo, dal Belgio, dalla Spagna; qualche stereotipato lupetto dagli Stati Uniti e persino un’Islandese! Qui scopriamo che a migliaia di chilometri di distanza, facciamo le stesse bans e molto simile è anche lo spirito attorno al fuoco di bivacco. Tutti abbiamo un fazzolettone al collo; tutti, seppur in modalità e associazioni differenti, facciamo scoutismo.
Gli incontri, gli scontri, la condivisione del dividere la tenda e il cibo, ma soprattutto del fare insieme, generano appartenenza.
È fondamentale che i membri di una comunità non appartengano semplicemente alla comunità in se stessa, ma che essi si appartengano gli uni con gli altri.
Gaber, interpellato dalla mitica pattuglia fede, ci insegna: L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme non è il conforto di un normale voler bene: l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé. L’appartenenza non è un insieme casuale di persone, non è il consenso a un’apparente aggregazione: l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
Chi c’era due anni fa, ricorderà che non erano passati molti giorni da quando il clan Zenit e il clan Nadir avevano imboccato i due rami diversi di quel bivio importante in val d’Ossola, ma al rientro in stazione c’erano già due clan, con due, seppur brevi, storie vissute: chi aveva modificato il suo itinerario e aveva trovato ospitalità presso il guardiano di una diga, chi era salito e aveva camminato tra la neve, chi aveva sguazzato in una fontana avendo prova di bizzarre reazioni allergiche ai prodotti bio e chi aveva avuto incontri ravvicinati con un elicottero di soccorso.
Da lì, le nostre strade si sono progressivamente distanziate: diverse dinamiche, diverse esigenze, scelte diverse, che quasi senza che ce ne accorgessimo, andavano a costruire la nostra tanto ricercata identità comunitaria.
L’esperienza ci suggerisce dunque, che è tutta questione di strada, di mettersi in moto, di partire.
E come sa chi cammina, il difficile è cominciare, fare la prima salita, misurare il passo e adattare il fiato. Ma questo non basta: bisogna poi proseguire con costanza e determinazione, senza correre, che esaurirebbe tutte le energie in partenza, evitando le scorciatoie, che possono essere pericolose e senza mai fermarsi e restare seduti troppo a lungo, che è una grande trappola.
Diventare “tiepidi” può rischiare di affondare un clan. In Zenit lo abbiamo imparato e forse anche in Nadir.
Un clan vive di passione, fiducia, servizio e coraggio e il clan Kypsele ha l’irrefrenabile metodica operosità delle api nel suo nome e l’unione nel servizio come urlo.
Non più un’armata Brancaleone dunque, ma un Clan: un Clan che cammina.
Erica, Lince Riservata

Crescere e passare

I passaggi sono, come ogni anno una gioia e una tristezza. Chi passa in noviziato, durante questo pernotto, cerca di stare il più possibile con le persone che dovrà salutare. Sono due giornate cariche di emozioni.
Il sabato di questi passaggi il mio ormai ex reparto ha costruito il ponte, e questo può essere un vantaggio, ma anche uno svantaggio. Un vantaggio perché ancora per una volta si collabora tutti insieme per costruire qualcosa di bello, e uno svantaggio perché non si possono fare molte altre attività.
Quest’anno, questo weekend di emozioni si è svolto in sede perché ovviamente il tempo era contro di noi. Devo ammettere che speravo che questo giorno arrivasse il più lontano possibile, ma come si sa, un anno scout passa in frettissima, e quel momento è arrivato inevitabilmente presto. Da un’altra parte, come tutti i passandi credo, avevo un po’ voglia di un cambiamento.
Penso che la cosa dominante sia stata la curiosità: la curiosità di sapere come ci si sentiva ad essere accolti da un’altra comunità diversa dal reparto, la curiosità di sapere cosa si faceva in noviziato, la curiosità di conoscere i nuovi capi (Ilario e Giacomo)… Insomma una curiosità generale.
Nel frattempo è anche stato un weekend specialmente triste; perché ovviamente ci si deve lasciare alle spalle un reparto che ti ha sopportato, dei capi che nonostante tutto ti hanno sostenuto e hanno creduto in te, una squadriglia che ti ha permesso di crescere e in generale delle amicizie che sono state costruite in diversi anni. Voglio ancora ringraziare tutte queste persone che sono cresciute con me per questi quattro anni.
Passando, tutte queste cose non si hanno più, specialmente non si ha più una squadriglia, ma si diventa dei singoli soggetti. E questa cosa prima di passare spaventa. Le emozioni quando si grida per l’ultima volta l’urlo di reparto sono tante, sono tante le emozioni nell’abbracciare tutti quanti e nel salutare i capi, ma si sa che tutta questa tristezza, diventa gioia appena si varca il ponte dove tante altre persone ti aspettano a braccia aperte e dove realizzi che tutti gli amici che ti sei “lasciato alle spalle” sono fieri di te e che ovviamente puoi sentire e rivedere quando desideri.
Sai benissimo che quelle amicizie sono solide, vere e che non ti abbandoneranno mai. Comunque vada ogni persona del reparto rimarrà nel tuo cuore.
Le prime uscite dopo i passaggi sono un po’ tragiche. Arrivi in stazione per il ritrovo e ti assale il panico pensando di aver lasciato in garage l’alpestock e invece poi ti accorgi di essere cresciuto e di essere in noviziato, ti assale il panico perché devi togliere tutti i tuoi patacchini conquistati con fatica dalla camicia e ti assale il panico perché cominci a realizzare che la maggior parte delle persone che avevi in mezzo alle scatole fino alla settimana prima sono scomparse e che adesso hai un sacco di persone con cui instaurare nuove amicizie e da conoscere.
Ragazzi vi assicuro che la prima settimana, e la prima uscita sono una cosa tragica.
Poi cominci a divertirti come un dannato come hai sempre fatto, la paura di qualcosa di nuovo e la tristezza di essere cresciuti passano, e cominci a capire che lo scoutismo non finisce mai di sorprenderti. Ci sono sempre novità da scoprire, emozioni nuove, amici nuovi pronti ad aiutarti e a crescere con te, e insieme a voi persone magnifiche che vi aiuteranno a farlo. Questa è una cosa spettacolare. Ognuno ha un po’ di paura prima dei fatidici passaggi, ma poi la paura viene sostituita dalla curiosità e dalla felicità. Bisogna crescere per fortuna o purtroppo, ma niente nello scoutismo ti renderà infelice.
La prima uscita è stata un’uscita serale all’expo per assistere ad un concerto di ragazzi scout i quali ci hanno sopresi, nessuno si aspettava certe canzoni, e nessuno si aspettava di ritrovarsi a cantare a squarciagola in mezzo a gente che non conosceva, ma che in quella serata ti è sembrato di aver sempre conosciuto.
La seconda uscita ci ha stupito ancora di più. Prima di tutto ci siamo trovati in nove su venti, pensando che la maggior parte di noi avesse sbagliato a sistemare gli orologi. Siamo scesi a Milano Bovisa per cambiare treno e dopo un’altra ora siamo arrivati alla stazione di Canzo. Abbiamo cominciato a camminare e ad un certo punto ci siamo fermati per una piccola sosta. Guardando davanti a noi, sopra le nostre teste c’era una cima di una montagna, in verità due. I due corni. Tutti abbiamo pensato: “pensa che bello arrivare là sopra e pensa che bel panorama ci deve essere”.
Inconsciamente ci siamo cacciati in un guaio: così facendo ci eravamo fissati una meta. Ed indovinate un po? Siamo esattamente arrivati in cima al corno occidentale. Il noviziato sul corno occidentaleCi siamo aiutati a vicenda, abbiamo cantato come ogni scout che si rispetti durante il cammino, abbiamo fatto fatica insieme e quando siamo arrivati in cima voi non immaginate le facce stupite di ognuno di noi. Eravamo meravigliati dal paesaggio e da quello che eravamo riusciti a fare in una sola giornata. Tornati in stazione abbiamo anche deciso di provare a migliorare le nostre voci durante le seguenti uscite e perché no, di provare a fare un coretto. Durante il viaggio di ritorno abbiamo cantato tantissime canzoni e ci siamo divertiti tantissimo.
Quindi basta piangere ai passaggi, perché la tristezza poi si sostituirà immediatamente alla felicità.
È questo che ci insegna lo scoutismo. Ad essere perennemente felici, a non mollare mai e a non farci intimorire dalla prima difficoltà.
Chi più in alto sale, più lontano vede. Chi più lontano vede, più a lungo sogna” (cit targhetta sulla croce del corno, di Walter Bonatti, ndr).
Tigre energica