Archivio mensile:marzo 2017

Neil Armstrong

22Neil Alden Armstrong, classe 1930, una traccia l’ha lasciata seriamente e importantissima: la prima impronta di un essere umano sul suolo lunare.
Fu infatti lui il primo uomo a mettere piede sulla Luna il 20 luglio 1969 durante la missione Apollo 11 della NASA.
Il percorso che lo portò, quel giorno, nel Mare della Tranquillità, fu lungo (e non solo in termini chilometrici!): volò per la prima volta a 6 anni e imparò a pilotare da giovanissimo ottenendo il brevetto già a 15 anni. Si laureò in ingegneria aeronautica nel 1955, dopo aver servito come pilota nella Guerra di Corea ottenendo anche alcune medaglie.
Divenne quindi pilota collaudatore di velivoli sperimentali, l’anteprima del volo spaziale, rischiando più volte la vita su oltre 200 aerei diversi.
Le sue abilità lo resero selezionabile per il programma “Man In Space Soonest” (uomo nello spazio al più presto). Congedatosi, nel 1962 divenne così il primo “astronauta civile” della NASA.
La sua prima missione fu Gemini 8 del 16 marzo 1966: 75 ore di volo in orbita e una complicata serie di operazioni da portare a termine.

Se ancora oggi andare nello spazio è rischioso, all’epoca la domanda non era “ci sarà qualche problema?” ma “Quale problema avremo?”. I computer erano primordiali: l’intera stazione di controllo della NASA aveva la potenza di una moderna calcolatrice tascabile e la strumentazione a bordo di un razzo alto 110m era in mano ai tre uomini dell’equipaggio ed alla speranza che ogni bullone fosse stato stretto bene.

Fu proprio un incidente svolto durante l’addestramento per l’allunaggio, in cui i prontissimi riflessi di Neil gli salvarono la vita, a farlo scegliere come comandante dalla missione Apollo 11, la prima che avrebbe portato un equipaggio umano sulla Luna. Questo voleva dire che sarebbe stato lui il primo a scendere. Proprio li in mezzo tra i due mondi, alle ore 8:15 del 18 luglio 1969, Neil lanciò un messaggio: “Vorrei salutare tutti i miei colleghi Scout e Capi Scout al Farragut State Park in Idaho dove si sta svolgendo il Jamboree Nazionale questa settimana; e Apollo 11 vuole mandar loro i suoi migliori auguri.” cui il Centro di controllo di Houston rispose: “Grazie, Apollo 11. Sono sicuro che, se non lo hanno sentito, lo apprenderanno dai notiziari. Sicuramente lo apprezzeranno”. Inoltre, tra i pochi oggetti personali che Armstrong scelse di portare con sé nel viaggio verso la Luna e ritorno ci fu un distintivo scout che oggi è conservato presso la sede del WOSM di Ginevra.
Il resto è storia: “Questo è un piccolo passo per un uomo, un gigantesco balzo per l’umanità”.

Dei 214 astronauti americani passati e presenti, 142 sono stati scout. Anche Buzz Aldrin, sulla Luna insieme ad Armstrong, lo fu.
È difficile sintetizzare tutto quello che Armstrong fece dopo, le ricerche, l’insegnamento, le onorificenze…
Con grande umiltà ha portato avanti il suo impegno per la scienza fino a quando morì il 25 agosto 2012.

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-Enrico Gussoni

Per il cervo Gustavo la libertà ha il calore di una stalla

Alla libertà dei boschi e alla vita con il branco preferisce il tepore di due stalle tutte per lui, il cibo che trova pronto e i vizi garantiti dalle persone che ogni giorno salgono in un piccolo paese dell’Ossola, a mille metri di quota, per fotografarlo come fosse una celebrità. La «star» è il cervo Gustavo, un esemplare di 15 anni e 200 chili che da quattro inverni passa i mesi freddi nella casa di un allevatore. Teatro di quella che è stata battezzata una «fiaba vera» è Trasquera, borgo di meno di 200 abitanti in valle Divedro, incastonato tra le montagne a pochi chilometri dal confine con la Svizzera. Un paese dove la scuola è frequentata da una sola bambina, l’unico bar sulla piazza resta chiuso d’inverno e la presenza di questo cervo che sceglie di vivere in una stalla è diventata l’attrazione, tanto da essere segnalata con cartelli lungo la strada. L’ «angelo custode» del cervo è Romeo Manna, allevatore di 62 anni che a Trasquera accudisce tre mucche, un toro e 11 gatti. «E poi c’è il cervo Gustavo – racconta -. La prima volta che è arrivato, una mattina di quattro anni fa, ho avvisato la Forestale: mi hanno chiesto se volevo tenerlo e ho accettato. Da allora lo accudisco come un figlio. Ha due stalle, senza porte o recinti. Potrebbe andarsene quando vuole e invece resta qui: è diventato la mia famiglia e io la sua. È troppo vecchio per tornare nel branco, lo ucciderebbero». Gustavo a Trasquera ha prati dove passeggiare e due pasti al giorno assicurati da Romeo: uno al mattino con mele e verdura e un altro alle 20 con gli avanzi della giornata. «A volte anche la pastasciutta – racconta l’allevatore, la cui abitazione è attaccata a una delle stalle diventate la casa del cervo -. Se per caso tardo, viene alla mia porta e con le corna picchia sul vetro». Durante la giornata ci sono gli spuntini che gli portano alcune persone del paese e i curiosi che salgono a Trasquera per lui. Ad accompagnare i visitatori a conoscere il cervo è lo stesso Romeo: non sempre però è possibile accarezzarlo. «A Gustavo non tutte le persone vanno a genio, svela l’allevatore, sembra che riconosca quelle che trasmettono negatività».
da “LaZampa.it”

Le avventure di Oo

Ciao amici!
…e le avventure di Oo?
…non è “aria”, scusate ma devo correre…
Riuscirò un giorno a raccontarvi di quando la mitica tartaruga incontrò Mowgli, se vi va leggete questa storia, ora!
vostra t. r.

Scuola, Ingrid unica alunna con tre maestre
Trasquera (Verbano Ossola Cusio), 15 settembre 2016 – HEIDI in realtà si chiama Ingrid e abita a Trasquera, paese mignon dell’Ossola. Unica alunna di una scuola elementare che doveva essere cancellata dalla spugna burocratica del ministero. E invece è stata salvata dall’amministrazione comunale. Frequenta la classe quinta: una sola scolara con tre insegnanti: la maestra (signora maestra, quanti ricordi in queste due parole) Monica Egoli, l’insegnante di inglese Lisanna Cuccini, e quella di religione Pieranna Romussi. Trasquera, ultimo paese della Valle, a una manciata di chilometri dal confine con la Svizzera. All’inizio del secolo scorso, prima che iniziasse la diaspora della manodopera, i residenti erano più numerosi che a Domodossola. Oggi sono 270 su una superficie di quasi 40 chilometri quadrati. Un centinaio gli emigrati, in Svizzera, Francia, Argentina. Le sagome imponenti del Monte Rosa, del Leone, del Cistella, vegliano su paesi spopolati e alpeggi verdeggianti. «Alla fine dell’ultimo anno scolastico – dice Arturo Lincio, agronomo e sindaco al terzo mandato – la dirigenza scolastica ci ha segnalato che non c’erano la condizioni per mantenere la classe e quindi che la nostra scuola doveva chiudere. Ci siamo subito attivati con la Regione Piemonte perché fosse applicata la legge regionale sul mantenimento dei servizi scolastici nel territorio montano. Abbiamo fatto presente che siamo a 1.100 metri, che la strada per il fondovalle è tortuosa e può diventare impraticabile nei mesi invernali, con la neve, che non disponiamo di uno scuolabus. Abbiamo sottolineato che l’anno prossimo avremo due scolari, nel 2018 saranno cinque, nel 2021 arriveranno a nove. Ci è stato assegnato un contributo. Noi ci abbiamo messo del nostro. La scuola è rimasta».
IL PAESE ha preservato le sue elementari e Ingrid Quaresima è tornata a sedersi al suo banco, quello che divideva con l’amica Marica. Tutto a portata di voce perché il comune dove lavora mamma Elia e la scuola sono nello stesso edificio. Bella storia. Sarebbe piaciuta a De Amicis. Nell’unica aula maestra e allieva stanno rivedendo i compiti delle vacanze. Superata la timidezza iniziale, Ingrid fa pierre. Idee chiare sul presente, prospettive ben delineate per il futuro. «Le materie che preferisco sono scienze e matematica. Da grande voglio fare la cuoca oppure la pasticcera. Le mie specialità sono la frittata e il riso al radicchio». L’insegnamento è escluso? «La maestra no. Troppo casino». Studiare le piace. Si stupisce e si rammarica che sia già arrivata la pausa di mezzogiorno. Un attimo di ripensamento, da bambina avveduta. «Mamma, mi potevi dire che venivano i giornalisti. Mi preoccupa di finire sul giornale. Bisogna stare attenti. Ho paura di sbagliare». Insieme da sempre, Ingrid e la maestra Monica trascorreranno a scuola ventidue ore ogni settimana. Il tu reciproco è quasi d’ordinanza. Con il tempo è nata la confidenza. La bambina parla all’insegnante degli animali che alleva il nonno, le racconta dei dispetti che deve subire dalla sorellina più piccola. «Anche se avessi venti alunni – dice Monica – non darei una impostazione formale, rigida. L’importante è il rispetto e questo non è mai mancato. L’impostazione della giornata è quella classica, con anche l’intervallo. Una cosa importante. I nostri scolari non sono mai stati degli isolati. L’anno scorso hanno partecipato con la quinta elementare di Varzo a un progetto sull’Odissea. Vanno in gita con gli alunni di Varzo. Partecipano alle prove di verifica con tutti gli scolari del circolo didattico».
BELLA storia. Piccola fiaba di montagna. Anche se il sindaco Lincio ha uno strale amaro da lanciare. «Pare di assistere ad azioni deliberate che provocano lo spopolamento dell’arco alpino, la fuga delle giovani coppie, la chiusura delle scuole, dei presidi medici, dei negozi. I finanziamenti vanno alle città, dove ci sono i grandi numeri e anche i grandi voti. Poi ci dicono che le nostre elementari devono smettere di esistere. So di posti dove ci sono tre scuole a 500 metri di distanza una dall’altra e dove i genitori pretendono lo scuolabus». De Amicis si rabbuia. Ma subito ripensa alla storia di Ingrid e ritrova il sorriso.

-Gabriele Moroni

The next generation

Buongiorno amici ed amiche e bentornati ancora una volta sulla nostra rubrica di Generazione ***.
Spero che il Manzoni vorrà perdonarmi se rubo la sua tecnica per non rivelare le informazioni, ma mi sembrava un metodo interessante per porre una domanda: di quale generazione stiamo effettivamente parlando?
Col tempo questa rubrica è finita col trasformarsi in un “cantuccio dell’autore” dove l’autore, cioè il sottoscritto, ha dato la sua opinione sulla vita scoutistica e sulle tematiche trattate nei rispettivi Tuttoscout. Tutto questo, si spera, senza aver mai annoiato i mie gentili 25 lettori.
Ma lo scopo iniziale della rubrica non era questo. Non proprio almeno. Quando, ormai quasi dieci anni fa, mi fu proposto di gestire questa rubrica, l’idea era di avere un posto dove poter vedere come veniva vissuta la realtà scout da un giovanotto del reparto.
Una rubrica integralmente dedicata alla gioventù insomma. Se poi il sottoscritto sia stata una buona scelta per rappresentare un’intera generazione, è una questione la cui risposta lascio ai lettori.
All’epoca il titolo della rubrica mi pareva solo un modo più interessante ed a tratti fantascientifico per indicare una generazione qualunque, proprio come la X può indicare, in matematica, una qualunque incognita.
Con mia grande sorpresa ho poi scoperto che la “Generazione X” è invece una vera e propria generazione. Per la precisazione quella generazione nata tra il 1963 ed il 1980, che ha vissuto la caduta del muro di Berlino e dell’Unione sovietica, la consacrazione degli Stati Uniti come superpotenza mondiale e la nascita di MTV.
Quindi non solo mi trovo a rappresentare un’intera generazione, ma tecnicamente neppure sto rappresentando la generazione a cui appartengo, ovvero quei Millennials che ora vanno tanto di moda. Nati tra gli anni ’80 ed il 2000, sono considerati super-tecnologici, intraprendenti, refrattari ai più tradizionali mezzi di comunicazione. Sempre connessi ma anche inguaribilmente bamboccioni ed in ultima istanza forse inevitabilmente perduti in seguito alla crisi economica iniziata nel 2008.
In prima istanza mi sono sentito un po’ giù di corda nel vedere che l’intera vita di migliaia e migliaia di individui (me compreso) fosse già stata sterilmente analizzata e catalogata da fior fiori di esperti, molti dei quali al lavoro già da quando io avevo appena tre anni. Ma il tema di questo Tuttoscout, cioè il crescere e la crescita, mi ha spinto a riflettere più approfonditamente su cosa voglia dire essere parte di una generazione e, statistiche su quanti soldi io ed i miei più o meno coetanei spendiamo in tecnologia ed imbarazzanti documentari a parte, credo che il fatto più importante che unisca gli individui facenti parte di una determinata generazione siano le esperienze comuni.
Quello che davvero ci rende unici, che ci permette di essere individui con opinioni profondamente diverse nonostante la data di nascita sfasi solo di un paio d’anni, sono i modi in cui ciascuno di noi ha reagito a quelle esperienze comuni.
Ed è questo che vuol dire crescere. Avere nuove idee e nuovi punti di vista sul mondo a partire da quanto ci avviene e rifletterci sopra.
Non so quali saranno le sfide e le esperienze che vi caratterizzeranno, giovani generazioni che solo ora vi affacciate alla storia, ma già da adesso vi dico che, se state leggendo questo giornale, ho speranza e fiducia in voi perché finché rimarrete scout, non solo con la divisa ma di mente e d’attitudine, so che non chiuderete mai la mente alle sfide che l’inesorabile marciare della storia vi porrà davanti e, quindi, non smetterete mai davvero di crescere.
Se questo articolo v’è piaciuto, vogliate un po’ di bene a chi l’ha pubblicato ed a chi scritto. Se invece mi fosse riuscito d’annoiarvi, sappiate che non s’è fatto apposta.

-Tricheco Birbante

Realizzate la vostra ARCA, ogni giorno

Scegliendo di prendere la partenza, qualche mese fa ragionavo su cosa implicasse “partire” e “essere pronti a servire”. Alcune delle conclusioni che mi hanno spinto a intraprendere la strada del servizio all’interno del gruppo sono le stesse che cerco di mettere in pratica ogni giorno, seguendo l’esempio della mia famiglia. Il film “Un’impresa da Dio” ci regala un insegnamento molto prezioso: “Il mondo si cambia con un gesto di reale e cortese affetto alla volta”; in inglese l’acronimo porta alla parola ARCA, che spiega il compito affidato al protagonista all’inizio del film. Questa massima è stata per me fondamentale durante il cammino di partenza, e lo rimane tutt’ora nella mia vita. Non bisogna mai sottovalutare quello che si può fare quotidianamente per gli altri. Stupirsi ogni giorno, per i gesti anche piccoli e le cose quotidiane è la base di ogni sogno. Bisogna sempre cercare di sorridere perché non si sa mai a chi possa servire il nostro sorriso e quanta distanza esso possa coprire. Pensate: siamo uomini, animali sociali, viviamo in grandi città brulicanti di anime, di persone, non donare ogni giorno anche solo un sorriso ci renderebbe molto più simili a ingranaggi che a esseri umani. In fondo donare amore, perché è di questo che si tratta, a noi cosa costa? A volte un abbraccio, a volte chiedere “Come stai?” e ascoltare la risposta, a volte perdonare. È incredibile pensare che proprio da un piccolo gesto, il mondo possa iniziare a cambiare davvero; eppure incominciando il mio servizio, nulla mi è parso più vero. Al momento della scelta mi sembrava tutto abbastanza chiaro: volevo essere testimone dei valori scout e cristiani nel servizio verso il prossimo. Poi sono entrata in contatto coi ragazzi, con il loro esuberante e strabiliante mondo e ho iniziato a capire verso dove stavo “partendo”. C’è una differenza abissale tra l’essere pronti ad amare e servire guardando le cose da fuori campo, e il giocare la partita di persona. La scelta, quella vera, la viviamo ogni giorno: la sfida sta nell’usare il cuore in ogni occasione che ci si presenta durante la giornata. Bisogna amare, e poi amare di nuovo; cercare sempre nuove avventure, rischiare, produrre cambiamento e una volta fatto ciò condividere la gioia che ne deriva con chi ne ha meno. È necessario donare senza ripensamenti e senza preoccupazioni, consci del fatto che il bene, prima o poi, germoglierà nell’altro e darà frutto.

-Giorgia Broggi

Un bilancio in amicizia

Al termine di un anno scout particolarmente intenso e unico (in tutti i sensi) mi sembra giusto trarre qualche conclusione e condividerla con voi lettori.
Non sono abituato a tracciare dei bilanci, nonostante sia abituato a guardare il presente tramite passato, ma proverò comunque a capire ciò che per me ha reso questo anno così speciale.
Se penso ai primordi, ossia quando ancora il noviziato era solo un’idea che a poco a poco si avvicinava e che si sarebbe concretizzata dopo aver varcato il ponte, devo dire che tutti i miei pensieri relativi a un futuro ignoto che mi faceva paura sono crollati.
Temevo più di ogni altra cosa che l’ambiente caldo e accogliente che aveva il reparto sarebbe svanito per sempre, poiché non sapevo come avrei vissuto questo anno, ma soprattutto non sapevo con chi lo avrei vissuto (non ignoravo chi fossero gli altri suoi membri, ma non avevo con loro un rapporto così stretto come lo ho adesso).
Dopo poco tempo questo timore è svanito: ho imparato da questo che l’ignoto non deve fare paura, ma che semplicemente deve essere scoperto.
Un’altra caratteristica particolare che ha contraddistinto questo anno è stato l’approccio al servizio. Devo dire che forse questa era la parte che più aspettavo prima di passare.
Ho fatto le cose più diverse, dallo smistare mutande a giocare a calcetto con dei ragazzi, ma la cosa che sempre mi ha trasmesso l’aiutare gli altri è stato capire che attraverso il servizio che davo a qualcuno o per qualcosa rendevo felice qualcuno che magari felice non lo è mai stato.
Attraverso il servizio sono riuscito, come B.-P. e il mio prof di filosofia dicono, a rendere il mondo un po’ migliore di come l’ho trovato, e questo è stato molto gratificante, perché fino a poco tempo fa lo credevo impossibile.
Ripensando inoltre a quello di cui avevo paura, cioè non trovarmi particolarmente bene con i membri della comunità nella quale sarei malauguratamente finito, posso con tranquillità affermare che tutti i dubbi e i pregiudizi che nutrivo nei loro confronti sono stati sciolti nei primi 10 minuti di vita del noviziato.
Temevo di risultare arrogante, antipatico, altezzoso e mille più pregiudizi che affibbiavo anche agli altri.
Per fortuna mi sbagliavo.
Sarà perché il reparto non era più la forma di comunità adatta alla mia età e alla mia mentalità, sarà perché ho trovato persone particolarmente amichevoli (sto sopravvalutando il contenuto di questa parola), ma ora posso senza dubbio dire che le amicizie che si sono create in questo anno sono molto profonde e saranno parecchio durature.
Non è facile arrivare all’alba dei diciassette anni ed essere legati alle persone così fortemente: credo che sia l’ambiente scout in sé, sia la comunanza di interessi e idee che ho con loro abbiano giocato un ruolo fondamentale nel creare questi legami così forti.
Questo anno è stato per me anche un passaggio fondamentale per capire chi sono e che cosa voglio dalla mia vita scautistica (per la mia vita in generale ci sto ancora lavorando, ma siamo a buon punto!).
Per la prima volta, libero dagli affanni dei giochi e dall’avventura, ho potuto affrontare serie riflessioni su chi sono, cosa penso e perché.
Questo è stato davvero importante per me, abituato ad analizzare problemi e situazioni, ma mai ad indagare con serietà colui che indaga, che alla fine si rivela essere qualcuno che non si aspettava di essere quello che è.
In più occasioni ho sperimentato, oltre al servire, anche il “buona strada”: ne abbiamo fatta davvero molta in molti modi diversi, e credo che sia stato un modo per confrontarmi e condividere aspetti positivi e negativi del cammino, metaforico e non.
Una delle parti più belle (per me, meno per coloro che mi circondavano) è stata concretizzare una delle frasi a me più care: canta e cammina.
Non dimenticherò facilmente questo cantare, né dimenticherò questi momenti.
Difficilmente dimenticherò il mio anno in Noviziato.

-Dromedario esilarante

ndr: questo articolo era già stato pubblicato su di un precedente Tuttoscout e per errore ripsoposto sul passato numero 157. Ciononostante noi dela redazione crediamo che il tema dell’articolo ben si combini con l’argomento di questo numero, ed abbiamo quindi deciso di riproporlo anche qui.

Lo scoutismo, in fondo in fondo, è una ribellione

La vita cresce e nella vita cresciamo. Anche lo scoutismo cresce insieme a noi e grazie a noi da quando Baden Powell lo ha inventato.
Mi piace il fatto che questa sia la giornata del “pensiero” e non, semplicemente, del “ricordo di BP” perché non ci si ferma solo a contemplare quello che lo scoutismo è stato, ma si pensa a quello che lo scoutismo è e può essere.
Lo scoutismo è cresciuto e, come tutte le persone o le cose che crescono, è ancora lui. Ha lo stesso sangue, la sessa anima, ma si è trasformato insieme al mondo di cui fa parte.

Possiamo guardare alla storia (e alle “storie”) dello scoutismo: le staffette dell’assedio di Mafeking, i giovani esploratori con i moschetti durante la Grande Guerra, i ribelli che espatriavano i ricercati durante la “Giungla Silente”, i rover e le scolte a seppellire i morti a Longarone o a spalare il fango nel Polesine… Sono questioni che non si celebrano e basta, ma che servono a farci pensare (think, appunto) e a farci chiedere “Se nel 1916 a tutti pareva sensato mettere un fucile in mano ad un esploratore e se nel 1963 pareva sensato utilizzare giovani appena maggiorenni per operare in caso di calamità senza alcuna formazione specifica o corso di sicurezza… che cosa ha senso oggi?”

Riguardando a quello che facciamo oggi tra vari anni si penserà “Quelli erano dei matti” o “Quelli erano davvero in gamba”? Forse tutte e due le cose…
Dopotutto lo scoutismo è un’idea folle, e buona deve essere la dose di follia di chi vuole portarlo avanti. Pur con le sue leggi, regole, metodi, gerarchie e concetti lo scoutismo ha nel profondo qualcosa di altamente anticonformista. Probabilmente ora più di prima.
Se l’adolescenza è l’età della ribellione, allora lo scoutismo è, per la sua costante ricerca di libertà, l’adolescenza delle istituzioni educative.

Che senso ha, la domenica, lasciare una casa calda e comoda per addentrarsi in un bosco sotto la pioggia, trovare una radura tra i rovi e, sotto un rifugio improvvisato, consumare un panino?
Che senso ha rimettersi in cammino nel fango mentre la pioggia diventa nevischio e cantare alla ricerca di un posto buono per un nuovo gioco?
Non è forse il non voler essere “schiavi” dei capricci del meteo? Non è l’essere slegati, anche solo per poche ore, da quelle comodità che ci sembrano indispensabili?
Crescendo in questa ribellione di pace impariamo ad andare contro a tutto… per andare incontro a tutti. Ci liberiamo da quello che non ci serve per meglio servire.

Così prendersi per mano in centro alla città, circondati dagli occhi della gente, pronunciare un impegno, una promessa, parlare di onore e, umilmente, chiedere l’aiuto di Dio è un sereno gesto di rivolta. Di crescita…

-Enrico Gussoni

volantino genitori

Ecco i tre appuntamenti per tutti i genitori… alla scoperta del come e del perchè “lo scoutismo è una scuola di vita tra giochi e avventura”

volantino genitoriLo avevamo promesso ed ecco la nostra parola mantenuta!

Da sabato prossimo diamo vita alla nostra proposta educativa dedicata a tutti i genitori che vogliono approfondire la conoscenza delle meravigliose esperienze che vivono i propri figli nei weekend che trascorrono con gli scout.

E quale cosa migliore se non indossare (metaforicamente) braghette e camicia e giocare davvero come loro?

Allora genitori: non potete proprio mancare a questi tre appuntamenti.

Tutti i dettaglio qui volantino attività genitori

Per iscrizioni e informazioni: IN SEGRETERIA O SARA 340/96.20.156

Crescere

Tutti cresciamo, in ogni momento.
Per esempio, quando entri a scuola per la prima volta sei timido. Poi pian piano, crescendo, impari a conoscere i tuoi compagni e sei sempre meno timido.
Crescendo impari sempre più cose, e queste cose ci aiutano a crescere di più.
Diventare grandi è imparare tante cose e impegnarsi non solo a fare quello che più amiamo. Quindi tutti noi piccoli e grandi, dobbiamo impegnarci a crescere e diventare più bravi in qualcosa.

-Alessandro Volpi